Il Consiglio dei Ministri in questi giorni ha varato la manovra economica 2025 che ai primi di novembre comincerà l’iter parlamentare per l’approvazione finale entro la fine dell’anno. È una manovra piuttosto “leggerina” e per quanto riguarda l’ambito previdenziale molto poco soddisfacente. In pratica l’Esecutivo ha affermato che gli unici cambiamenti oltre ad un rinnovo degli istituti in scadenza a fine anno saranno la possibilità volontaria di restare ancora sul posto di lavoro per chi ha già raggiunto i termini del pensionamento avendone, in tal modo, un beneficio economico.
Cosa prevede la manovra sulle pensioni 2025?
Siamo ancora alla prima bozza del provvedimento che non spiega in termini precisi le novità in ambito previdenziale ma da quello che si è capito è che saranno confermati anche per l’anno 2025 sia la Quota 103 che Opzione Donna che l’Ape Sociale come sono attualmente in vigore. Per la Quota 103, quindi i 62 anni di età e i 41 anni di contributi se maturati entro il 31/12/2025 con calcolo interamente contributivo e finestre mobili di sette mesi per dipendenti privati e lavoratori autonomi e nove mesi per i dipendenti pubblici.
Per Opzione donna con i requisiti da avere entro il 31/12/2024 i 35 anni di contributi i 61 anni di età con sconto di un anno per un figlio o di due per due figli ed essere caregiver, invalide o licenziate con finestra mobile di 12 mesi per le dipendenti e di 18 per le autonome. Per l’Ape Sociale i 63 anni e 5 mesi di età ed almeno 30 anni di contributi se disoccupati, invalidi o caregivers oppure i 36 anni di contributi se si rientra nell’elenco delle categorie che individuano “i lavori gravosi”. Sull’Ape Sociale c’è anche un incremento dei fondi per gli anni successivi che sembrano confermare questo istituto almeno fino al 2028, incremento assente, invece, per Opzione Donna che ne fanno ipotizzare dal 2026 una cancellazione.
C’è poi la parte che riguarda la possibilità di rimanere al lavoro pur avendo già raggiunto i requisiti del pensionamento che sicuramente saranno modificati rispetto a quanto in vigore attualmente che permette solamente un aumento di stipendio del 9,19% ma non consente di aumentare i contributi per implementare la pensione. Sicuramente sarà trovato, ancora non è stato reso noto, un modo per incentivare per permanenza al lavoro e di conseguenza pagare per meno anni l’assegno previdenziale. È un modo sicuramente intelligente per invogliare in maniera volontaria la permanenza al lavoro ma manca la parte che riguarda la flessibilità anticipata che deve essere accompagnata a tale provvedimento.
Pensioni 2025 non ci siamo, c’è tempo per migliorare la manovra?
Ancora una volta notiamo che si attuano provvedimenti singoli e non si affronta mai la problematica nella sua complessità e completezza. Non si può risolvere tale complesso argomento con scelte unilaterali del Governo che inserisce pochi provvedimenti nella legge di bilancio e li approva senza confronto magari con un voto di fiducia tra Natale e Capodanno. Abbiamo bisogno di una riforma strutturale e per farla necessitano alcuni mesi di lavoro in cui ci sia un vero confronto tra maggioranza e opposizione e dialogo costruttivo con le forze sindacali e datoriali. A mio parere bisogna partire da una considerazione fondamentale che certifichi che i lavori non sono tutti uguali ed è necessario diversificare l’età del pensionamento. Al momento in Italia si va in pensione tutti alla stessa età di 67 anni ma non si può minimamente equiparare, per esempio, chi svolge un lavoro impiegatizio con chi invece lavora nell’edilizia, sulle strade o in agricoltura. Partendo da questo aspetto della diversificazione, si potrebbe pensionare i lavoratori che svolgono mestieri faticosi, per esempio, a 64 anni mantenendo per gli altri i 67 anni di età.
Partendo poi da questi parametri consentire una flessibilità volontaria, oltre per chi volesse rimanere al lavoro pur avendo raggiunto i requisiti per il pensionamento, anche per chi volesse autonomamente uscire prima dell’età prevista accettando una penalizzazione annuale. Il costo per l’Erario non sarebbe eccessivo in quanto sarebbe compensato almeno in parte da chi invece volesse rimanere nel mondo del lavoro pur avendo raggiunto i requisiti minimi del pensionamento. Utile, poi, l’eliminazione per chi si è pensionato con le varie “Quote” di quella antipatica norma che consente di incassare solamente 5.000 euro per lavoro autonomo occasionale che tanto ha fatto discutere in questi anni con persone che per aver lavorato un solo giorno hanno dovuto restituire all’INPS tutto l’importo di un anno della propria pensione. Uno sforzo poi andrebbe fatto per i giovani che secondo le previsioni degli analisti lavoreranno fino ad oltre 70 anni di età che hanno lavori discontinui e frammentati mediante l’istituzione di una pensione di garanzia e nei confronti delle donne togliendo quelle penalizzanti norme ad Opzione Donna che la fanno assimilare all’Ape Sociale e che hanno fatto crollare il numero delle donne che vi hanno potuto accedere.
Unica buona notizia è invece la perequazione delle pensioni per effetto dell’inflazione che a differenza di quanto avvenuto nei due anni precedenti saranno implementate secondo quanto previsto dalla Legge 388/2000. Quindi indicizzazione piena per le pensioni di importo fino a quattro volte il trattamento minimo (2.273 euro mensili lorde), al 90% per le pensioni di importo tra quattro e cinque volte il minimo e al 75% per le pensioni di importo superiore.
Ci sono ancora, comunque, due mesi di tempo per portare alcune migliorie alla bozza del testo ma sembra che anche questo sarà un anno sostanzialmente perso per l’approvazione di una riforma previdenziale non più rinviabile, dare stabilità al sistema e certezza e durata delle norme nei confronti dei cittadini.
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