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Meloni, l’elenco dei Paesi sicuri è ora legge, stretta sui rimpatri #finsubito prestito immediato


Il Consiglio dei Ministri del 21 ottobre 2024 ha portato avanti un intervento di peso sulla gestione dei rimpatri dei migranti, consolidando la linea del governo Meloni. La decisione cardine riguarda la lista dei Paesi sicuri, che da aggiornamento annuale diventa parte integrante della legge, con l’obiettivo di limitare i margini interpretativi e le impasse giuridiche legate alle espulsioni. Non è solo una questione tecnica: si tratta di un’azione precisa per mettere ordine tra le varie letture giudiziarie che finora hanno frenato l’efficacia operativa. È un cambio di prospettiva che inserisce la gestione dell’immigrazione all’interno di un quadro più rigido, puntando a offrire una base normativa solida ai giudici.

All’interno di questo disegno, non mancano i riferimenti a interventi su altre criticità. Non è la prima volta che il governo mostra l’intenzione di affrontare i nodi irrisolti: nel Consiglio del 2 ottobre si era parlato di caporalato, un tema che per l’Italia ha il volto dello sfruttamento nei campi agricoli, e che ha portato alla necessità di misure di controllo più stringenti e di supporto alle vittime. Un quadro che, evidentemente, non si limita alla sola stretta sui migranti, ma che cerca di abbracciare, almeno nelle intenzioni, un fronte più ampio di interventi strutturali.

Una legge per blindare la lista dei Paesi sicuri

Il Consiglio dei Ministri ha messo un punto fermo: la lista dei Paesi sicuri per i rimpatri diventa legge. Basta aggiornamenti annuali su decreto del ministro degli Esteri, come avveniva finora: adesso l’elenco ha lo stesso peso normativo di qualsiasi legge.

Durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha affermato che questa mossa è figlia di una sentenza della Corte di giustizia europea, una decisione che, a suo dire, non è stata del tutto compresa dai giudici italiani. Eppure, dietro a questa scelta c’è una volontà chiara: rafforzare l’autorità della normativa nazionale nei confronti delle interpretazioni europee.

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Piantedosi e la lista ridotta: fuori Camerun, Colombia e Nigeria

Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, ha annunciato che la lista scende a 19 Paesi, escludendo Camerun, Colombia e Nigeria. Il criterio di selezione si è basato su una valutazione di stabilità territoriale. Per Piantedosi, questa mossa rappresenta una risposta a quella che ha definito come una “interpretazione ondivaga” da parte dei giudici, i quali, in passato, hanno spesso emesso sentenze non condivise dal governo.

Il decreto stabilisce che l’elenco dei Paesi sicuri sarà rivisto periodicamente attraverso un atto con forza di legge, recependo le indicazioni della Corte europea e rimuovendo Paesi con eccezioni territoriali.

La frattura tra diritto italiano e norme europee

Al centro della vicenda c’è il trattamento dei migranti nei centri in Albania. Qui, un gruppo di giudici italiani ha applicato alla lettera la sentenza europea del 4 ottobre, annullando il trattenimento di 12 migranti. La Corte di giustizia aveva stabilito che un Paese può essere definito sicuro solo se esclude in modo rigoroso ogni rischio di persecuzioni o trattamenti inumani. La nuova legge italiana tenta di circoscrivere questa interpretazione, attribuendo alla lista dei Paesi sicuri un valore normativo che dovrebbe ridurre l’arbitrarietà delle decisioni giudiziarie.

Nordio e la linea dura: la legge non si disapplica

La questione è diventata comunque estremamente politica. Secondo Nordio, rendendo la lista parte integrante della legge, i giudici non avranno più margine per disapplicarla. “Tenderei ad escludere che possano farlo”, ha dichiarato, lasciando intendere che il provvedimento rappresenta una sorta di “paletto” normativo. Inoltre, ha puntualizzato che la sentenza della Corte di giustizia non è vincolante in senso astratto, ma risponde a un caso specifico con criteri molto stringenti.

Stretta sui rimpatri: meno possibilità di aggirare le espulsioni

La nuova norma serve ad accelerare le espulsioni, limitando l’uso strumentale delle richieste di protezione internazionale. Con il sistema attuale, ha spiegato Piantedosi, le persone che fanno richiesta di asilo in realtà finiscono per bloccare le procedure di rimpatrio per anni, con costi ingenti per lo Stato. Il ministro ha snocciolato anche le cifre: ogni anno, il Viminale spende 1,7 miliardi di euro per l’assistenza ai migranti, con una percentuale elevata di richieste che vengono poi respinte.





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