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Catasto, l’incubo della riforma impossibile: ecco perché nessun governo può affrontarla #finsubito prestito immediato


di
Enrico Marro

Il patrimonio italiano vale più di 6 mila miliardi e ne produce solo 42 di imposte. Ma aggiornare le rendite, magari alleggerendo le tasse sul lavoro, è un tabù. Lo hanno sfidato invano Letta, Renzi e Draghi. E Meloni?

Anche questa volta, tanto rumore per nulla. Nel disegno di legge di Bilancio per il 2025, non c’è alcun intervento sulle rendite catastali. È bastato che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, accennasse all’aumento delle stesse per chi ha usufruito del Superbonus per provocare un mezzo terremoto nella maggioranza di governo, costringendo lo stesso Giorgetti a correre ai ripari, spiegando che lui si riferiva alla precedente legge di Bilancio che semplicemente prevede, sui lavori importanti di ristrutturazione, l’aggiornamento delle mappe catastali. 

Le case «fantasma»

E poi ha spostato l’attenzione sull’altra misura, anche questa già prevista dalle norme ma mai attuata in modo efficace: l’accatastamento delle case «fantasma» già scovate attraverso le rilevazioni aeree e l’incrocio dei dati, che sono ben 2 milioni, secondo l’Agenzia delle Entrate. Detto questo, tutti tranquilli: non c’è alcun aggiornamento delle rendite catastali, tanto meno ai valori di mercato, e quindi non si pagheranno più tasse sulla casa. Pericolo scampato, anche stavolta. Del resto, la storia insegna che, in Italia, chi tocca la casa muore. L’impianto del catasto risale ancora alla fine degli anni Trenta del secolo scorso. Ci sono stati degli aggiornamenti parziali delle rendite (l’ultimo alla fine degli anni Ottanta) che però restano ben distanti dal valore reale degli immobili. Sul possesso della prima casa non si pagano tasse: nel 2008 fu abolita l’Ici e dal 2014 l’Imu. Inoltre, le imposte di successione sono molto basse: prevedono, per il coniuge e i parenti in linea retta, una franchigia di un milione di euro per ciascun beneficiario, sopra la quale scatta un’aliquota del 4%. Morale: secondo l’ultimo Rapporto dell’Agenzia delle Entrate sugli Immobili in Italia, a fronte di un patrimonio abitativo del valore di quasi 6 mila miliardi di euro, cioè tre volte il prodotto interno lordo, le imposte riscosse nel 2022 non hanno superato i 42 miliardi (41,9 miliardi,per la precisione).




















































Da dove arrivano le tasse sulla casa

Di questi, 20,4 vengono dal gettito dell’Imu; 13,4 dalle imposte sui trasferimenti e sulle locazioni, di cui appena un miliardo alla voce «successioni e donazioni»; poco più di 8 miliardi da Irpef e cedolare secca. In Europa, nel 2020, si legge nel Rapporto, «l’Italia mostra un’incidenza delle imposte immobiliari sulle entrate tributarie complessive pari al 3%, sostanzialmente in linea con la media Ocse (3,2%)» . Nel Regno Unito il prelievo è invece molto più alto e tocca il 9,1% del totale delle entrate. Anche in Francia si paga di più e il gettito pesa per il 5,2% sulle entrate mentre in Germania le imposte sulla casa sono più leggere che in Italia e valgono poco più dell’1% del totale.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

Donazioni e successioni, noi e gli altri

Passando al prelievo sulle eredità, si legge ancora nel Rapporto, «le entrate derivanti dalle imposte di successione e donazione, pari allo 0,02% del Pil, si collocano in Italia su valori assai inferiori a quelle registrate nei principali paesi Ocse in cui il prelievo medio si attesta a circa lo 0,12% del Pil.
Tutti i Paesi considerati mostrano valori significativamente più alti rispetto a quelli osservati nel nostro Paese e caratterizzati da una dinamica crescente negli ultimi anni: in Germania, l’incidenza si attesta allo 0,26% del Pil, in Francia allo 0,65%, nel Regno Unito allo 0,25% e in Spagna allo 0,22%».
In questo quadro, non c’è da stupirsi se una delle raccomandazioni ricorrenti della commissione europea al nostro Paese sia quella di riequilibrare il prelievo fiscale a vantaggio del lavoro, aumentando le imposte sugli immobili e sulla rendita finanziaria. In particolare, Bruxelles ha ripetutamente chiesto ai nostri governi l’adeguamento del catasto e nelle ultime raccomandazioni, inviate a Roma lo scorso luglio, lamenta che «la legge delega per la riforma fiscale non contempla l’aggiornamento dei valori catastali, ampiamente obsoleti e divergenti dai valori di mercato» e chiede per l’ennesima volta di adeguarli.

Una riforma del fisco favorevole al lavoro è possibile?

Sulla stessa linea è anche il Fondo monetario internazionale e la Banca d’Italia ha più volte auspicato una riforma del fisco favorevole al lavoro, finanziata con «un maggiore prelievo sul possesso di immobili» (audizione in Parlamento dell’11 gennaio 2021). Il fatto è che chi ci ha provato in passato non c’ è mai riuscito. In Italia si discute di riforma del catasto da almeno un quarto di secolo. Una proposta organica fu presentata dal governo Monti nel 2013, ma non se ne fece nulla per via della fine della legislatura. La proposta fu rilanciata dal governo Letta e approvata sotto il governo Renzi (legge 23/2014). Prevedeva rendite catastali da calcolare sui valori medi di mercato, aggiornati ogni 5 anni e il passaggio dal criterio dei vani a quello dei metri quadrati. Ma non se ne fece nulla, nonostante la riforma, ipocritamente, prevedesse che il gettito non sarebbe aumentato.

La prova del governo Draghi

Ci riprovò nel 2021 il governo di salvezza nazionale guidato da Mario Draghi, sostenuto da tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia, ma subito la Lega e i 5 Stelle si misero di traverso, con i ministri del Carroccio che abbandonarono la riunione del consiglio dei ministri che diede il via libera al disegno di legge riforma del fisco che, tra l’altro, conteneva la riforma del catasto. Il governo, per non cadere, accettò di annacquare la riforma in Parlamento: le rendite catastali sarebbero state aggiornate ai valori di mercato ma solamente a fini conoscitivi, senza effetti sulla determinazione della base imponibile, che sarebbe rimasta legata alle vecchie rendite, le quali sono state aggiornate nel lontano 1988 per i terreni e nel 1990 per gli immobili. Ma anche questa versione che non cambiava nulla non passò. E ora, nel Documento programmatico di bilancio inviato dal governo Meloni a Bruxelles, di tutto si parla ma non di riforma del catasto.
Come disse qualche anno fa il sociologo Giuseppe De Rita, «la casa, per gli italiani, è un mito, uno status e quindi anche un tabù: guai a chi la tocca». E dunque forse serve prima di tutto un cambio culturale, in un Paese dove il 77% delle famiglie vive in casa di proprietà e la principale preoccupazione pensando al futuro dei figli è spesso stata quella di dar loro una casa, prima ancora che investire nella loro formazione.


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