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Le ipotesi sulla tassa sugli extraprofitti sono messe da parte, ma il governo Meloni chiederà comunque alle banche di versare un “contributo” visto che hanno avuto “condizioni particolarmente favorevoli” negli ultimi anni. A dirlo, secondo fonti di Palazzo Chigi, è stato il ministro Giorgetti. Dall’Abi intanto è arrivata un’apertura.

Dal governo Meloni arriva una prima posizione concreta sulla questione degli extraprofitti delle banche: no a una tassa, sì a un “contributo” una tantum da concordare, per aiutare a finanziare la legge di bilancio. Era la linea più quotata già negli scorsi giorni, ma ora a confermarla è stato il ministro dell’Economia in persona, Giancarlo Giorgetti, secondo fonti di Palazzo Chigi.

Il tema è delicato per la maggioranza, dato che Forza Italia è ben decisa a non penalizzare gli istituti di credito con tasse aggiuntive. Non a caso, la tassa sugli extraprofitti annunciata lo scorso anno era poi stata un fallimento dal punto di vista delle entrate, dato che era stata modificata così tanto da non portare neanche un euro allo Stato.

Ora però il governo Meloni, tramite il ministro Giorgetti, ha detto di puntare a un contributo da parte di chi ha più beneficiato delle “condizioni particolarmente favorevoli” negli ultimi anni. Il compromesso è che l’esecutivo ha definitivamente escluso che si possa parlare di una tassa sugli extraprofitti. Dunque, sembra che il risultato sarà quello di chiedere alle banche – e forse anche alle assicurazioni e alle aziende energetiche – un versamento una tantum per aiutare lo Stato. In cambio, il governo rinuncerà a immaginare una vera e propria tassa.

Per capire se la mossa sarà un successo oppure no, bisognerà attendere di vedere se gli istituti di credito (e le altre aziende eventualmente coinvolte) saranno favorevoli, e soprattutto quale sarà l’entità di questo contributo. Per dare qualche numero: le banche italiane hanno avuto profitti per 25 miliardi di euro nel 2022, 40 miliardi nel 2023 e 50 miliardi quest’anno (secondo le proiezioni della Federazione autonoma bancari italiani). Somme su cui, secondo Unimpresa, le banche pagano in media il 20% di tasse.

Nelle scorse settimane, quando il dibattito era partito da un’ipotetica tassa sugli extraprofitti, l’idea era di fissare un’aliquota dell’1 o 2% sui profitti ‘in più’ registrati nell’ultimo anno (o negli ultimi due) rispetto al periodo precedente. Pur con delle differenze significative tra una stima e l’altra, diversi analisti avevano parlato di una possibile entrata per lo Stato attorno al miliardo di euro. Ma, poiché adesso si parla di un “contributo” senza criteri definiti, resta da vedere quale accordo raggiungeranno l’esecutivo e gli istituti di credito.

Intanto, oggi è arrivata una prima apertura sul tema proprio dalle banche. Il comitato esecutivo dell’Associazione bancaria italiana (Abi) ha deliberato all’unanimità che il direttore generale, Marco Elio Rottigni, avrà l’incarico di “approfondire eventuali misure” che possano “mettere a disposizione una maggiore liquidità per il bilancio dello Stato”. Insomma, un vero e proprio mandato a ‘trattare’ con il governo, ma fissando dei paletti ben precisi: le misure “dovranno essere di natura temporanea e predeterminata“, e con “effetti esclusivamente finanziari, salvaguardando il patrimonio e i bilanci delle banche e senza effetti retroattivi, per non penalizzare la competitività delle banche operanti in Italia”.



 

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