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Serviranno circa 18 miliardi di euro di investimenti cumulati per abilitare le tecnologie e gli impianti di produzione dell’idrogeno da qui al 2030 garantendo così al paese 2,27 milioni di tonnellate di produzione interna secondo lo scenario più “ambizioso” che attribuisce a questo vettore un ruolo molto importante.

Sono queste le prime stime sul potenziale di investimenti contenuti nella bozza della Strategia nazionale per l’idrogeno, che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare e la cui stesura è stata affidata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a un tavolo ad hoc insediatosi a febbraio.

Confronto in corso tra tecnici e operatori

Il documento che, nelle intenzioni del titolare del Mase, doveva essere finalizzato entro l’autunno, è ancora oggetto del confronto tra i tecnici e gli operatori e fonti del ministero, interpellate da questo giornale, fanno sapere che bisognerà intervenire su alcuni punti per imprimere maggiore slancio ad alcuni obiettivi giudicati troppo prudenti. Ma, intanto, la bozza contiene una prima serie di indicazioni sul peso che l’idrogeno andrà a ricoprire, a partire dai consumi.

Il fabbisogno dell’industria

Su questo fronte, sempre nello scenario più avanzato, il governo stima circa 25 miliardi di euro di investimenti cumulati relativi all’ammodernamento, sostituzione e installazione di nuove tecnologie, componenti e impianti, che verranno dispiegati nei vari settori di utilizzo. Nell’industria, dovrebbero attivarsi oltre 3 miliardi di investimenti, di cui quasi il 90% nel settore dell’acciaio. E qui si apre il capitolo degli energivori, cui la bozza dedica ampio spazio con un’analisi molto puntuale su potenziali e limiti dei vari comparti rispetto a una maggiore spinta su questo vettore.

Il nodo degli energivori

Nello scenario più alto tra quelli esaminati (gli altri due, attendista e intermedio, ipotizzano un maggior ritardo nella maturazione dell’idrogeno e, nel secondo caso, una situazione abbastanza equidistante tra le precedenti), i consumi finali di idrogeno nell’industria sarebbero di circa 0,72 milioni di tonnellate (pari a 2,07 Mtep, milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), pari a circa il 39% dei consumi complessivi attuali dei comparti industriali hard to abate. Ma la penetrazione, chiarisce la bozza di strategia, sarebbe molto diversa. Perché, in alcuni settori come quello dell’acciaio, l’asticella giunge a valori molto elevati (86%), mentre nel cemento e nella ceramica si avrebbero percentuali inferiori, intorno al 20 per cento. E questo in virtù del possibile contributo alla decarbonizzazione che a questi settori potrebbe essere garantito da altre opzioni utili, come il vettore elettrico, la Ccs (cattura e stoccaggio del carbonio, biometano, bioenergie e rifiuti in cogenerazione.

 

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