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La lettera è stata recapitata ieri a 1,8 milioni di Partite Iva che aderiscono al regime forfettario, quello cioè, che garantisce una tassazione di vantaggio del 15 per cento. Aprendo i loro cassetti sul sito dell’Agenzia delle Entrate, gli autonomi hanno trovato una sorta di “diagnosi fiscale”. Una sorta di endorsement del Fisco, che ha fatto sapere quali informazioni sono in suo possesso sull’attività svolta lo scorso anno.

E dunque, in pratica, quanto si aspetta che il contribuente versi. Ad accompagnare la “diagnosi”, c’è anche una lettera che illustra i vantaggi del concordato fiscale, il patto biennale offerto alle Partite Iva, e che per i forfettari abbassa la tassa piatta dal 15 a 10%. Fin qui la carota. Poi il bastone. La lettera ricorda che l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza, programmano l’impiego di maggiore capacità operativa per intensificare l’attività di controllo su chi non aderisce al concordato. Una moral suasion giustificata dall’importanza che il governo dà alla misura.

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LA STRATEGIA

Palazzo Chigi e Tesoro vogliono utilizzare gli incassi del concordato per ridurre il secondo scaglione dell’Irpef, l’aliquota oggi del 35 per cento, per potarla al 33 per cento. Un aiuto alla classe media. L’obiettivo degli incassi non è stato mai ufficialmente quantificato, ma adesso l’asticella sarebbe stata posta ad almeno 2,5 miliardi di euro. Esattamente la somma che occorre per ridurre di due punti la seconda aliquota Irpef. E per farlo, come detto, il governo punta sia sul bastone che sulla carota. Partiamo da quest’ultima. Una prima modifica, approvata nei mesi scorsi, prevede che sui redditi in più che le Partite Iva dichiareranno, si pagherà una tassa “piatta” a seconda del voto nelle pagelle fiscali. Per i contribuenti più affidabili, quelli con un voto tra 8 e 10, il prelievo sarà solo del 10 per cento. Per quelli che nelle pagelle fiscali hanno un voto tra 6 e 8, il prelievo sarà del 12 per cento, mentre salirà al 15 per cento per chi non raggiunge la sufficienza.

Ma questa tassazione agevolata potrebbe non bastare. Così nel decreto omnibus in Senato, è stato depositato un emendamento firmato da tutti i partiti della maggioranza per introdurre una sanatoria. Un ravvedimento operoso per coprire i cinque anni precedenti all’avvio del concordato biennale, quelli cioè che vanno dal 2018 al 2023. Sui redditi non dichiarati in questi anni, o meglio, su una parte di questi redditi, pagando una tassa dal 10 al 15 per cento in base al voto nelle pagelle fiscali (in pratica lo stesso criterio del concordato), si ottiene una pace totale con il Fisco.

IL PREGRESSO

L’emendamento è stato inserito tra quelli «segnalati» e il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, si è rimesso sulla questione alle decisioni che saranno prese dal Parlamento. Insomma, è più che probabile che la sanatoria passi. La carota, insomma, è più che evidente. Dall’altro lato c’è il bastone delle liste selettive di contribuenti che non aderiscono al concordato e che rischiano di essere accertati. È evidente che quante più Partite Iva aderiranno alla misura, maggiore sarà la probabilità di finire nelle liste “nere” da parte di chi non aderisce. Per aderire al concordato ci sarà tempo fino al 31 ottobre prossimo. La Cna tuttavia, ha chiesto che la scadenza venga posticipata almeno di un mese, fino al 30 novembre. Il rinvio, secondo la Confederazione degli artigiani, sarebbe necessario «ai fini di una più consapevole e ampia adesione al concordato da parte di milioni di imprese interessate. La necessità della proroga», spiega ancora la Cna, «è dovuta alla tardiva pubblicazione della circolare esplicativa da parte dell’Agenzia delle entrate e per effetto della presentazione dell’emendamento al decreto omnibus, relativo al ravvedimento speciale per le annualità 2018-2023, determinanti ai fini dell’adesione al concordato». Fino ad oggi, tuttavia, il governo non ha mostrato aperture ad un possibile allungamento dei tempi.

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