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Un quarto di punto in meno come previsto. La Bce ha usato ancora una volta le forbicine e il tasso di riferimento è sceso al 3,5% con i prezzi al consumo che ad agosto hanno fatto segnare una crescita del 2,2%. Il sentiero della politica monetaria, dunque, resta stretto. Si poteva fare di più? Il Governo italiano non è soddisfatto ed è stato proprio l’europeista Antonio Tajani a lamentarsi. Antonio Patuelli, Presidente dell’Assobancaria, ha detto al Sole 24 Ore che la Banca centrale europea deve stare attenta al cambio euro-dollaro almeno finché la Federal Reserve non si muove anch’essa. Ci si attende che mercoledì la banca centrale americana riduca il costo del denaro forse di mezzo punto.



Christine Lagarde ha messo l’accento sul voto unanime: nessun dissenziente questa volta, è stato d’accordo anche il più falco tra i falchi, Robert Holzmann, che a giugno si era messo di traverso. Il Governatore della banca centrale austriaca dichiara la sua soddisfazione al Financial Times: “La politica monetaria adesso è su una buona traiettoria” e prevede che a dicembre ci sarà un’altra spuntatina. Il prezzo del suo voto favorevole è la prudenza della quale si è vantata la Presidente Lagarde.



Così, passo dopo passo, si potrà arrivare a un tasso di riferimento del 2,5% a metà del prossimo anno, prevede il banchiere austriaco, che passerà la mano avendo concluso il suo mandato. Bene, ma come sarà la congiuntura dell’area euro a metà del prossimo anno? Crescerà ancora sia pur di poco, sarà piatta o addirittura in recessione? Nessuno è in grado di prevederlo, troppi sono i fattori di incertezza esterni. Ma i fattori interni all’Eurolandia non fanno ben sperare.

Proprio l’Austria è il Paese che sta peggio di tutti: l’ultimo dato mostra che il Pil è sceso dello 0,6% nel secondo trimestre dell’anno. La Germania è ferma, la Francia e l’Italia sono in rallentamento. L’ultima congiuntura flash della Confindustria mostra un quadro a tinte grigiastre. La produzione industriale italiana va decisamente male, a luglio l’Istat ha mostrato un calo dello 0,9%, scendono tutti i settori tranne l’energia, con una vera e propria picchiata nel tessile e nella produzione dei mezzi di trasporto. Frenano anche i servizi, il turismo ha deluso a luglio e ad agosto. I consumi si muovono “adagio”: “il reddito reale è sostenuto dalla frenata dei prezzi, dalla moderata crescita salariale e dall’aumento dell’occupazione, la propensione al risparmio è risalita a valori storici, il costo del credito è in calo, ma la fiducia delle famiglie è diminuita in agosto”, scrive la Confindustria. Cresce ancora l’occupazione, tuttavia si riducono le ore lavorate, segnale nient’affatto positivo. Continua la discesa dell’export che aveva fatto da traino dalla fine della pandemia in poi.



Non sono cifre da recessione imminente, piuttosto una stagnazione che può diventare, però, l’anticamera di un vero e proprio scivolone se la congiuntura non verrà sostenuta. Ma come e da che cosa? Dal bilancio pubblico potrà venire davvero poco, è già un successo se il Governo potrà confermare i sostegni dello scorso anno (cuneo fiscale, riduzione a tre delle aliquote, flat tax per i lavoratori autonomi) mentre si cercano risorse per un aiuto alle famiglie con figli. Potremmo sperare in una ripresa delle esportazioni, però in Cina la domanda interna è debole e l’import resta al palo. Quanto agli Stati Uniti, il prodotto lordo cresce attorno al 3%, ma molto dipende da due fattori: il primo è l’andamento dell’inflazione e il costo del denaro; il secondo tutto politico riguarda l’esito delle ormai prossime elezioni presidenziali.

Se la Fed taglierà in modo consistente i tassi portandoli a una forchetta del 4,25-4,50% a dicembre con un’inflazione attorno al 2,5%, non si può dire che la politica monetaria sia espansiva. Dunque non potrà venire da qui un sostegno ai consumi e ai redditi delle famiglie. Quanto al nuovo inquilino della Casa Bianca non troverà grandi spazi in un bilancio federale che sfiora un deficit del 7% anche grazie ai mega sostegni all’economia varati da Joe Biden, con un debito pubblico al 130% del Pil e una cifra monstre di 33 mila miliardi di dollari.

“Non spetta alle banche centrali togliere dal mercato le incertezze che derivano dal quadro macroeconomico”, sostiene sul Foglio Lorenzo Bini Smaghi che è stato nel board della Bce. Al contrario Donato Masciandasro scrive sul Sole 24 Ore che è necessario agire sulle aspettative di tutti gli operatori economici e, riguardo alla Bce, parla di “una politica monetaria al buio”. A suo parere è necessario che le banche centrali indichino con chiarezza il percorso che intendono seguire in modo da dare certezze al mercato e alle famiglie.

Sembra una disputa tra scuole di pensiero e in parte lo è. Certo che, dopo aver sbagliato le previsioni sull’inflazione, sarebbe pessimo se Bce e Fed sbagliassero le previsioni sulla disinflazione. Anche perché se l’economia reale si avviasse su un piano inclinato, non avrebbero il tempo per correggersi.

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