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Il debito comune come uno stato di necessità.

Mario Draghi è tornato a parlare del futuro dell’Europa e, ospite del ‘Tempo delle donne’ del Corriere della Sera, il suo richiamo è risuonato ancora una volta fermo.

“Una parte” della grande mole di investimenti necessari affinché l’Europa diventi competitiva al cospetto di Stati Uniti e Cina dev’essere composta di “finanziamenti pubblici comuni”.

Oppure il peso di avanzare da soli porterebbe i singoli Paesi a livelli di indebitamento “troppo alti” che condurrebbero al “disastro”.

Una risposta chiara alle critiche dei falchi del Nord Europa – prima su tutti Berlino – saliti sulle barricate contro gli eurobond delineati dall’ex numero uno dell’Eurotower nel suo report sulla competitività. Il domani del continente però non è soltanto una questione di investimenti, ma anche di chi ne farà parte: per spingere la crescita, serve il contributo essenziale delle donne, ha sollecitato l’ex premier.

Per le quali l’Italia per prima è chiamata a “insistere” e promuovere quelle condizioni di parità sancite nella Costituzione, a partire dal welfare.

Accolto dall’applauso della Triennale di Milano, l’ex premier ha dedicato una parentesi al suo lavoro di 400 pagine appena presentato a Bruxelles.

Le simulazioni fatte con il sostegno di Commissione europea, Bce e Fmi mostrano la via: il debito comune serve a sostenere le “cifre gigantesche” da mobilitare affinché l’Europa non passi il resto della sua esistenza ridotta in “servitù” nella corsa con le grandi potenze mondiali.

“L’Europa vuole essere padrona del proprio destino o no?”, è stata la domanda che l’ex presidente della Bce ha ripetuto rivolgendosi alla platea dove ad ascoltarlo erano presenti anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, il presidente di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, e Vittorio Colao.

L’azione europea dovrebbe nascere da una “visione comune” che, ha ammesso, è difficile da rintracciare davanti alla situazione “abbastanza scoraggiante” dei “vari governi in Europa, tutti molto deboli”.

I Ventisette possono però proseguire avvalendosi della “cooperazione rafforzata” a scapito della prigione dell’unanimità.

Tutte indicazioni che, è tornato a sollecitare il commissario Ue per l’Economia, Paolo Gentiloni, dovranno servire da “bussola” alla nuova squadra di Ursula von der Leyen.

Un’Europa padrona del suo destino, libera e indipendente – è stato il monito di Draghi – deve offrire le stesse prerogative anche alle donne.

L’Italia è “ultima per occupazione femminile e fecondità, ma la Costituzione tutela la parità”, ha sottolineato l’ex premier, attaccando senza sconti chi paga di meno le donne e, così facendo, va contro la Carta al pari di chi pronuncia una frase “insopportabile” come “va in maternità”.

Le pari opportunità, ha evidenziato l’ex governatore, non si creano “per decreto” o tramite imposizioni formali come le quote rosa o la scelta di usare il femminile per le cariche istituzionali o professionali (“sono le donne a decidere come vogliono essere chiamate”), bensì “costruendo un ambiente propizio”.

Un contesto che nei Paesi del Nord è più semplice ritrovare grazie a “un sistema di welfare forte e allo stesso tempo una natalità maggiore”.

Su questo fronte l’Italia è chiamata ad agire puntando su tre elementi “chiave”: gli aiuti domestici, gli asili nido che “in alcune parti del Paese non ci sono proprio” e la scuola che, senza il tempo pieno, “non è di aiuto”.

Da questa via passa, nella visione di Draghi, un vero cambiamento culturale che abbia per protagoniste anche le più giovani.

A loro, il suo consiglio finale: “Dire subito ciò che non va.  Parlare per farsi sentire, proporsi, affermarsi, senza tenere le cose dentro”.

ANSA

 

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