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Al ministero dell’Economia, impegnato nella difficile ricerca di risorse per la prossima manovra di bilancio, sostanzialmente a raschiare il fondo del barile, è partita un’operazione quasi disperata. Il recupero delle somme stanziate in passato sul Bilancio dello Stato a copertura di misure che non sono state utilizzate fino in fondo. Un repulisti, insomma.  Le misure che non costano, scrive il Corriere della Sera, come la possibilità di rimanere al lavoro per i dipendenti pubblici fino a 70 anni su base volontaria, che sta prendendo corpo, non creano problemi. Ma per le altre richieste della maggioranza non c’è grande spazio.

Per il ministro Giancarlo Giorgetti, alle prese con le nuove e più rigide regole europee sulla spesa pubblica, bisogna “rendere più efficiente l’uso del denaro pubblico già investito”. Prima dei tagli alla spesa viva, che nessuno dei partiti di maggioranza sembra disposto a fare, ma che saranno necessari, si spunteranno le coperture ‘eccessive’. Strada obbligata, visto che la maggioranza è restia anche a un aumento delle entrate, ma chiede risorse per il rifinanziamento delle misure dello scorso anno, dagli sgravi contributivi a quelli fiscali, le deduzioni alle imprese che assumono, e gli incentivi per la natalità (che costano almeno 15 miliardi di euro). E poi, se ci fosse margine, come concordato ieri, le tasse per il ceto medio e gli autonomi, la sanità, l’adeguamento delle pensioni. 

La verifica del Mef sembra stia cominciando a dare esiti positivi. Sulle garanzie che lo Stato ha offerto alle imprese per fronteggiare prima il Covid, poi le conseguenze della guerra in Ucraina, per esempio, è stato messo un sacco di soldi a copertura delle possibili perdite che poi non ci sono state. Almeno due o tre miliardi recuperati, dunque. Sempreché il Mef non voglia spingere un pò di più, visto che alcune garanzie pesano sulla spesa primaria netta, l’aggregato da monitorare, e altre no. Intanto, si delinea il percorso e i contenuti del Piano strutturale di bilancio a sette anni richiesto dalle nuove regole Ue. Il Piano, che dovrebbe prevedere una crescita massima nominale della spesa primaria netta intorno all’1,6% annuo, compatibile con la riduzione del deficit dello 0,5% per il ’25 e ’26 (quando sarebbe sotto il 3% del Pil), poi un calo del debito di un punto l’anno, arriverà in Consiglio dei ministri il 17 settembre.

Il vertice a palazzo Chigi

Una manovra che sarà “nel solco di una politica di bilancio seria ed equilibrata” che porrà fine alla stagione dei bonus e che partirà con la presentazione del Piano strutturale di medio termine confermata entro il termine fissato per il 20 settembre. E’ quanto riferito in una nota dei leader del centrodestra diffusa al termine dell’incontro che si è tenuto ieri a Palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni e con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Appuntamento che si punta a far diventare di routine, almeno ogni due settimane fino alla chiusura della legge di bilancio, per coordinare a livello politico l’iter della manovra.

Nel corso della riunione Giorgetti ha illustrato ai leader del centrodestra “la situazione dei conti pubblici ad oggi” in attesa dei dati sui conti nazionali che arriveranno tra due settimane e sui risultati del concordato preventivo biennale. Il Ministro dell’economia ha anche illustrato le nuove procedure di bilancio che scatteranno quest’anno alla luce del nuovo Patto europeo. Nel comunicato ufficiale diffuso al termine del vertice si ribadisce l’intenzione di “confermare quanto di buono è stato fatto e verificare cosa di nuovo può essere attuato” in ogni caso “concentrando tutte le risorse a disposizione sulle priorità già indicate (famiglie, imprese, giovani e natalità) mettendo definitivamente la parola fine alla stagione dei bonus che hanno dimostrato non produrre alcun risultato”. Tra le ipotesi di intervento cui il governo non intende rinunciare in primis il taglio del cuneo contributivo (dal costo di 10,7 miliardi) e poi un intervento a sostegno dei redditi medi, riducendo dal 35% al 33% la seconda aliquota Irpef. Il costo dell’operazione si aggira attorno a 2,2 miliardi.

La ricetta di Forza Italia

“Vogliamo lavorare sulle aliquote Irpef, passando dal 35 al 33%fino a 60.000 euro di reddito – ha riferito ieri mattina il vicepremier Antonio Tajani – alzando dunque il tetto minimo dichi trae beneficio. Riteniamo necessaria una zona ‘zero tasse’ fino ai 12.000 euro”. Sembra tramontata la possibilità di un intervento sulle pensioni anticipate come quota 41 mentre lo stesso Tajani insiste “sempre trovando le coperture” su “un ulteriore intervento sulle pensioni minime”. Il governo sarebbe orientato anche a reperire fondi, si punta ad almeno due miliardi, per aumentare le risorse del fondo per il servizio sanitario nazionale. Sul fronte delle coperture oltre alla fine dei bonus certificata dal governo sono in arrivo una rimodulazione dell’assegno unico che probabilmente sarà ridotto per i redditi più alti a vantaggio di interventi a sostegno delle fasce più deboli e l’attesa revisione delle detrazioni fiscali. Resta in piedi anche l’ipotesi di una rivalutazione solo parziale degli assegni pensionistici più alti. Per alleggerire il conto 2025, nel caso emergesse dello spazio di bilancio quest’anno, si potrebbe poi replicare l’anticipo di alcune spese come già fatto l’anno scorso.

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