Uno dei motivi del ritardo con cui si evolve il mondo dell’innovazione guidato dalle startup innovative è riconducibile all’approccio poco strutturato degli investitori. Chi ha esperienza nelle attività di fundraising in Italia non può che prendere atto dell’approccio quasi esclusivamente opportunistico dei sostenitori: nella stragrande maggioranza dei casi, chi ha effettuato un investimento, prevalentemente in equity, non investe in un eventuale secondo round, anche qualora la startup abbia conseguito i risultati promessi, talvolta anche superandoli.
Non se ne comprende il motivo, poiché i successivi investimenti dovrebbero essere lo strumento per difendere e sostenere il primo, soprattutto quando lo sviluppo della startup innovativa mostri buone performance di crescita.
Diversificazione a scapito delle startup
La ritrosia a proseguire nel sostegno alla startup sembra riconducibile all’approccio prevalentemente opportunistico dell’investitore, che preferisce assumere un comportamento guidato dalla diversificazione del rischio piuttosto che concentrare la sua attenzione su poche ma selezionate iniziative. Come se preferisse investire una piccola somma in più startup, restando passivamente in attesa dell’esito, anziché sostenerne concretamente una o due con decisione, soprattutto quando il piano industriale viene conseguito o addirittura superato.
Inoltre, il prevalente comportamento passivo dell’investitore risulta coerente con tale approccio opportunistico, in quanto raramente si interessa dell’andamento della startup e si limita a leggere i rapporti sui kpi che riceve dai fondatori, solitamente con periodicità trimestrale, quando potrebbe invece favorire un confronto costruttivo con fondatori e promotori se solo mantenesse un contatto anche saltuario.
L’approccio all’investimento potrebbe sembrare più governato da logiche da gioco d’azzardo e non certo figlio di meditate analisi selettive. Logiche non appropriate, poiché è dimostrato che il successo nel finanziamento delle startup è principalmente legato alle capacità selettive dell’imprenditore; valga per tutti l’esempio che la percentuale dei fallimenti scende dal 95% al 25% per le iniziative sviluppate dai cosiddetti startup studio, soggetti specializzati nell’ideazione, ingegnerizzazione e sviluppo di queste iniziative imprenditoriali.
Puntare la stessa somma su ogni mano di poker, indipendentemente dalle carte che si hanno in mano, non è certo la miglior strategia, anche un giocatore dilettante lo capirebbe. Eppure è esattamente quello che attualmente succede: l’investitore sparge i propri investimenti su più fronti, sperando che qualcuno possa dare frutti importanti. La situazione diventa persino grottesca se si considera che l’investitore resta insensibile a rilanci, sia che abbia in mano una coppia di sette sia un poker d’assi. Questa è decisamente inefficienza.
Un peso sulle startup, e come sollevarlo
La conseguenza è che le startup sono costrette a ricercare sistematicamente nuovi investitori, ogni volta che parte un nuovo round, con considerevole perdita di tempo e l’aggravio dell’imbarazzo di non saper rispondere quando i nuovi interlocutori (e potenziali investitori) domandano perché chi ha investito inizialmente, magari a valutazioni inferiori, abbia perso la fiducia nel progetto imprenditoriale, visto che rifiuta a investire nuovamente.
Nel complesso, è chiaro che va completamente rivisto il processo di selezione e di coltivazione degli investimenti, soprattutto dei cosiddetti business angel, che hanno favorito lo sviluppo dell’industria delle startup, ma che spesso hanno assunto comportamenti poco inclini a favorire la crescita delle imprese che hanno inizialmente finanziato.
Se l’obiettivo è far crescere le realtà più promettenti, sono proprio gli investitori della prima ora che devono mettere in gioco le proprie risorse e supportare, sia finanziariamente che con apporto di conoscenze e competenze, le iniziative che mostrano di possedere le stigmate del successo. (riproduzione riservata)
*Trotter Studio Associato
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