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L’idrogeno rinnovabile giocherà nei prossimi decenni un ruolo importante nella riduzione delle emissioni di carbonio in Europa e i combustibili a base di idrogeno saranno forse una delle fonti più importanti di energia pulita e rinnovabile. Tuttavia produrre idrogeno puro è un processo ad alta intensità energetica che spesso richiede oltre all’utilizzo di grandi quantità d’acqua anche il contributo di carbone o gas naturale per produrre elettricità. Lo studio “Sub-volt conversion of activated biochar and water for H2 production near equilibrium via biochar-assisted water electrolysis”, pubblicato quest’anno su Cell Reports Physical Science da un team multidisciplinare di ricercatori statunitensi e indiani, ha scoperto un nuovo metodo per produrre idrogeno dall’acqua utilizzando solo energia solare e rifiuti agricoli. Per gli ingegneri dell’Università dell’Illinois -Chicago (UIC) che hanno guidato il team di ricerca “Il metodo riduce del 600% l’energia necessaria per estrarre l’idrogeno dall’acqua, creando nuove opportunità per una produzione chimica sostenibile e rispettosa del clima. Per ridurre la quantità di elettricità necessaria per convertire l’acqua in idrogeno, il metodo messo a punto dai ricercatori della UIC utilizza una sostanza ricca di carbonio e solo fonti di energia rinnovabile come l’energia solare o eolica. Il processo può ridurre le emissioni di gas serra fino a zero.

Si tratta di un grande passo avanti per poter fare dell’idrogeno uno dei principali vettori energetici del futuro, perché fino ad ora l’elettrolisi, il processo di scissione dell’acqua in idrogeno e ossigeno, ha richiesto il contributo di grandi quantità di corrente elettrica che a livello industriale è generalmente realizzata con i combustibili fossili. Gli scienziati del UIC hanno scoperto che mescolando l’acido solforico con rifiuti agricoli (bucce di canna da zucchero, scarti di canapa, scarti di carta…), e rifiuti animali (letame e liquami), è possibile creare il biochar, un liquame ricco di carbonio. Quello con il miglior rendimento, generato con lo sterco di mucca, ha ridotto il fabbisogno elettrico di sei volte, consentendo così ai ricercatori di alimentare la reazione con una cella solare in silicio standard che genera a 0,5 volt: una quantità inferiore all’energia prodotta da una batteria AA. Per il co-autore principale dello studio, Nishithan Kani, “Questo processo non solo diversifica l’utilizzo dei rifiuti organici, ma consente la produzione pulita di diverse sostanze chimiche oltre all’idrogeno. Questo modo economico di produrre l’idrogeno potrebbe consentire agli agricoltori di diventare più sostenibili per i loro bisogni energetici o creare per loro nuove fonti di guadagno”.

Certo rimane il problema di come distribuire senza ulteriori impatti ambientali questo tipo di energia, perché se è vero che alcune ricerche del Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea hanno inequivocabilmente rivelato che l’approvvigionamento da regioni con energia rinnovabile più economica può rivelarsi più conveniente rispetto alla produzione locale di idrogeno, non si può ignorare il fatto che il trasporto di grandi quantità di idrogeno su lunghe distanze abbia un impatto ambientale importante. Sempre quest’anno, lo studio del JRC “Environmental life cycle assessment (LCA) comparison of hydrogen delivery options within Europe” ha confrontato gli impatti ambientali del ciclo di vita della produzione di idrogeno con tre diversi metodi di consegna: compressione, liquefazione e legame chimico con altre molecole, prendendo in considerazione il trasporto sia via nave, che tramite oleodotto. La distanza utilizzata per confrontare le diverse modalità di consegna è stata di 2.500 km, compatibile con l’estensione del territorio dell’Unione europea ed equivalente alla distanza tra Portogallo e Paesi Bassi. Per i ricercatori del JRC “I risultati della ricerca mostrano che le prestazioni ambientali dell’idrogeno fornito alle grandi industrie possono variare in modo significativo in base alla tecnologia di produzione e al percorso di consegna”. L’approccio più sostenibile dal punto di vista ambientale rimane la produzione in loco utilizzando fonti rinnovabili efficienti, come per esempio l’energia eolica nei Paesi Bassi, ma “Se la produzione in loco non è fattibile utilizzando abbondanti fonti rinnovabili locali, l’importazione di idrogeno può comunque portare a una riduzione significativa delle emissioni di gas serra (GHG) rispetto alla produzione in loco con combustibili fossili, soprattutto quando si trasporta idrogeno su lunghe distanze”.

Il rapporto ha ribadito la stretta relazione tra l’impatto ambientale dell’idrogeno fornito e le infrastrutture per le energie rinnovabili, perché “Affinché l’idrogeno importato generato dal sole possa avere un vantaggio ambientale rispetto alla produzione convenzionale di idrogeno da combustibili fossili, l’impatto ambientale della generazione di elettricità attraverso i pannelli fotovoltaici deve essere significativamente ridotto”. L’utilizzo dell’acqua è un altro fattore essenziale da tenere in considerazione visto che “La disponibilità di acqua dolce influisce sull’impatto della produzione di idrogeno”. In generale per i ricercatori del JRC “Quando la produzione in loco di idrogeno utilizzando fonti rinnovabili locali non è fattibile, l’importazione di idrogeno rinnovabile da regioni più vicine diventa la scelta più sostenibile dal punto di vista ambientale”. In alternativa da alcuni anni la ricerca scientifica sta verificando la possibilità di trovare direttamente in natura dei giacimenti d’idrogeno naturale (detto geologico o bianco) aprendo così nuovi orizzonti per il suo impiego come fonte di energia anziché come semplice vettore energetico. È in questo solco di ricerca che l’Università di Bologna sta per finanziare una spedizione scientifica in Groenlandia per cercare, in rocce antiche quasi due miliardi di anni, tracce della formazione e circolazione di idrogeno naturale. Per la futura “Generazione H”, una via per capire meglio le evidenze scientifiche sulla formazione e la distribuzione dell’idrogeno che è ancora tutta da indagare.

Sono Alessandro, dal 1975 “sto” e “vado” come molti, ma attualmente “sto”. Pubblicista, iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell’Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori”, leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.



 

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