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Stretta sulle pensioni e operazione ‘ceto medio’ per tagliare le tasse a 22 milioni di contribuenti: sono questi i fascicoli su cui lavora il governo in vista della manovra 2025.

I tecnici dei ministeri del Lavoro e del Tesoro lavorano su varie simulazioni per liberare le risorse bloccate dalle pensioni, in particolare da quota 103 che così com’è risulta molto dispendiosa per le casse dello Stato. Secondo le indiscrezioni che trapelano dalla maggioranza si vorrebbe prolungare le finestre di uscita a 6-7 mesi dagli attuali 3 per i lavoratori che optano per l’anticipo con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età anagrafica. 

In ballo anche un ritocco al ribasso del meccanismo di rivalutazione per gli assegni di importo più elevato. Continua la discussione invece sulla proposta della Lega di destinare obbligatoriamente il 25 per cento del Tfr alle forme di previdenza integrativa, alleggerendo così parzialmente l’onere a carico dello Stato.

4 miliardi per il taglio delle tasse

Liberare risorse dalle spese pensionistiche è una priorità del governo non solo per confermare il taglio delle tasse a 14 milioni di lavoratori, ma estendere l’alleggerimento del carico fiscale al ceto medio che finora non ha goduto né del taglio del costo del lavoro, né della semplificazione Irpef. 

Oltre all’accorpamento delle prime due aliquote Irpef c’è l’ipotesi di ridurre l’aliquota intermedia dal 35 al 33%, alzando altresì da 50 a 60mila euro il limite del reddito per il secondo scaglione: uno schema che porterebbe benefici nelle tasche di circa 8 milioni di contribuenti.

Lo sconto di mille euro dalle tasse

Se per chi guadagna da 28 a 50mila euro lo sconto sarebbe del 2%, per gli 839mila contribuenti che percepiscono tra 50 e 60mila euro il taglio sulle tasse arriverebbe al 10 per cento: un vantaggio di certo consistente che potrebbe tradursi in un risparmio di mille euro all’anno. Un’operazione annunciata lo scorso marzo dal viceministro Maurizio Leo in cui spiegava che non era possibile che chi ha 50mila euro di reddito debba subire una tassazione che, comprendendo anche le addizionali regionali e comunali, superi il 50%.

Il nodo da sciogliere, ovviamente, resta sempre lo stesso: dove trovare le risorse necessarie per tagliare le tasse. Solo per confermare l’attuale sistema servono circa 4,3 miliardi di euro. Una ulteriore riduzione di due punti dell’aliquota intermedia potrebbe far lievitare il costo fino a 6 miliardi.

Il taglio dell’assegno alle famiglie

Come abbiamo detto la sfida principale è proprio quella di reperire risorse. Per questo è allo studio del governo l’ipotesi di rimodulare l’assegno unico ai figli: le risorse stanziate ma non utilizzate insieme a quelle stanziate per il reddito di inclusione, ma non richieste, potrebbe portare oltre 2 miliardi di spazio di manovra.

Il governo Meloni che da sempre rivendica un forte sostegno alla natalità, potrebbe scegliere di premiare le famiglie più numerose. Nonostante le smentite del ministero delle finanze, un ritocco alla misura di sostegno alle famiglie è stato richiesto dall’Europa che ha aperto una procedura di infrazione a causa della decisione del governo Meloni di introdurre il requisito di residenza di 2 anni chiesto agli stranieri.

Come spiegato anche dalla ministra Rocella la Ue chiede di cancellare il requisito della residenza in Italia (attualmente di due anni) per i percettori dell’assegno non lavoratori, e anche quello della durata del rapporto di lavoro (attualmente di almeno 6 mesi), e di riconoscere l’assegno anche a chi ha figli residenti all’estero. “Non servirebbe più quindi vivere nel nostro Paese, ma basterebbe lavorarci anche solo per un giorno per fruire del contributo” spiega la ministra della famiglia lasciando intendere che simile richieste non siano accettabili. Con la scusa l’esecutivo potrebbe quindi riscrivere il Piano nazionale per le famiglie varato nel 2022 dal governo Draghi.

L’ipotesi sul tavolo che sembra più probabile, è quella che prevede di tagliare il sostegno di 57 euro a figlio a chi non presenta l’Isee e a chi ne ha uno al di sopra dei 45 mila euro. Le risorse risparmiate verrebbero dirottate verso le famiglie numerose, con disabili e con una solida storia lavorativa in Italia.

Il bonus mamme alle partite Iva

Tra le altre ipotesi sul tavolo è l’estensione del bonus mamme anche alle Piva fino ad oggi escluse dallo sconto sui contributi previdenziali. Secondo un’analisi del Corriere della Sera le lavoratrici madri con tre o più figli per la busta paga che va dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, godranno di un esonero del 100% della quota dei contributi per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo. Si prevede un limite massimo annuo di 3 mila euro riparametrato su base mensile. Stesse condizioni, ma solo per il 2024, per chi ha due figli. Lo sconto vale però se almeno uno dei due figli ha età inferiore ai 10 anni. Condizioni che dall’anno prossimo potrebbero essere estese anche alle lavoratrici non dipendenti, circa 2 milioni in Italia. Ovviamente una volto sciolto il nodo delle coperture: ad oggi la misura è stato richiesta dal 75% delle aventi diritto, circa 550mila lavotrici.

Fonte: Today.it

 

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