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L’obiettivo della pagina “Pentiti brindisini” creata su TikTok ed oscurato l’altro ieri dalla Polizia postale nell’inchiesta aperta dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) della Procura di Lecce per l’ipotesi di reato di minacce aggravate dal metodo e dall’agevolazione dell’associazione mafiosa? L’analisi è affidata al capo della Procura di Brindisi, Antonio De Donno, 69 anni, di Galatina, ieri per l’ultima volta in ufficio per avere scelto di lasciare la magistratura con undici mesi di anticipo. E dopo 41 anni e mezzo di servizio durante i quali ha ricoperto sia il ruolo di sostituto procuratore che di coordinatore della Dda di Lecce

Procuratore, il seguito e i consensi raccolti da “Pentiti brindisini” possono essere letti come il segnale della persistenza di una mentalità che approva e legittima il sistema di vita criminale, come accadeva negli anni del contrabbando di sigarette?

«Non sono in grado di dare un giudizio così radicale in questo momento, però ho sempre sostenuto che la mafia cerca la sua legittimazione. Lo strumento mediatico è importante per ottenere nuovo consenso sociale. E ciò si abbina ad una idea diffusa per quanto sbagliata».

A cosa si riferisce?

«Al concetto che la mafia non esiste più. O quanto meno che sia una mafia cambiata e sostanzialmente innocua. E non è affatto vero. È vero invece che questo è il messaggio che si è cercato di fare passare. È una strategia delle cosche: sminuire la valenza del modello intimidatorio delle mafie. E quindi disorientare i cittadini. E questo è la dimostrazione che quel modello sta ottenendo gli effetti cercati: il cittadino non distingue più il mafioso dal non mafioso. La mafia, così, sembra quasi come qualcosa di normale. Invece non lo è affatto. È un sistema che ancora una volta si vuole sovrapporre allo Stato».

Azzarda una ipotesi sul contesto di appartenenza dell’autore?

«Siamo di fronte ad una situazione da definire, chiaramente, perché non sappiamo chi è l’autore. Tutte le ipotesi sono formulabili».

Ritiene tuttavia che i contenuti tuttavia non lasciano dubbi che si tratti di una persona particolarmente informata sui protagonisti della storia giudiziaria della Sacra corona unita di Brindisi?

«Esattamente. E mi sembra evidente un atteggiamento apparentemente di sfida nei confronti dell’apparato istituzionale. È chiaro che la prima impressione sembra di matrice mafiosa, ma solo le indagini lo potranno stabilire. Se fosse confermata la matrice mafiosa saremo di fronte all’ennesima riprova di un cambio di strategie delle dinamiche dei clan, ritengo, con un atteggiamento nuovamente aggressivo nei confronti sia delle istituzioni e di chi collabora con la giustizia. Ma, ripeto, stiamo solo formulando delle ipotesi in attesa dell’esito dell’inchiesta. Certo è che l’atteggiamento aggressivo fa pendant con altri episodi che si sono verificati su questo territorio, sia in provincia di Brindisi che di Lecce, che ci dicono una cosa: bisogna tenere alta la guardia perché le strategie dell’organizzazione mafiosa possono cambiare in qualsiasi momento».

Quali sono gli episodi più emblematici da lei rilevati?

«Quello che è avvenuto a San Pietro Vernotico: episodi sotto agli occhi di tutti (la rivendicazione su TikTok del presunto boss Cristian Tarantino degli attentati, ndr). Ma anche la sottoposizione alla scorta di due magistrati, della Procura distrettuale e dell’ufficio gip del Tribunale di Lecce (Carmen Ruggiero e Maria Francesca Mariano, ndr), mi sembra siano elementi fortemente sintomatici. Adesso non voglio sovrapporre un giudizio all’analisi dei colleghi della Dda che hanno sicuramente il polso della situazione, ma, ripeto, sono fatti ormai noti.

L’utilizzo dei social è diventata la forma di comunicazione privilegiata dalle organizzazioni criminali?

«Internet si presta a numerose devianze, abbiamo iniziato con cyberbullismo e adesso si sta sviluppando il meccanismo del linciaggio mediatico: un filone per colpire la magistratura, la polizia giudiziaria e in questo caso – se le indagini lo confermeranno – anche chi si è fidato dello Stato».

Oltre 40 anni in prima linea contro la criminalità: perché lasciare in anticipo?

«Nella vita di ogni persona arriva il momento di farsi da parte. In questi anni ritengo di avere interpretato il ruolo di magistrato senza mai schierarmi nè per e nemmeno contro nessuno. Volto pagina, darò ancora il mio contributo alla società ma in modo diverso».

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