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Era uno sporco lavoro, qualcuno doveva pur farlo e l’ho fatto io. Non mi aspetto un vitalizio e un monumento, ma spero apprezzerete. Insomma, mentre voi stavate a crogiolarvi al sole o a leggere libri che da mesi reclamavano la vostra attenzione, a girar come trottole fra chiese e monumenti o a poltrire no-stop nella pozza del sudore, mentre vi divertivate, io ero immerso nella lettura del Decreto Legge che ridisegna le modalità di finanziamento dei film. Lettura mortalmente noiosa, ché se c’è una prosa che non reggo è il burocratese. «Vista la Legge… visto il Decreto…. come stabilito…. Comma 3…. revoca e decadenza… incoraggiano e perseguono… recante… 651/2014» ecc ecc. Lettura che m’ha messo di cattivo umore, non solo per il linguaggio, per lo stile. Che il sistema andasse ridisegnato, che l’epoca dei finanziamenti facili dovesse finire, nessun dubbio. Negli ultimi anni s’è foraggiato di tutto, anche un gran numero di progetti improponibili, ho visto cose che voi umani non potreste immaginare. Ma la riforma non è stata fatta bene. Ne enuncio i punti salienti risparmiandovi ogni «Comma bis alla luce del punto ter del Regolamento Europeo, ai fini del presente»: e anche un pochino Antàni. 1) Il credito d’imposta è stato tagliato di 130 milioni, taglio imposto dal Ministero dell’Economia, e temo sia il primo di una serie, le prossime Leggi di Bilancio rischiando seriamente d’esser del tipo Lacrime & Sangue o Qualcosa di Simile. 2) Il suddetto taglio è parzialmente compensato dell’istituzione di un fondo, per un ammontare di 52 milioni, da destinare a prodotti audiovisivi che valorizzino l’identità nazionale. Fornendo (nelle intenzioni, nda) anche un contributo all’incremento del turismo. E già qui mi stranisco. Il cinema italiano è stato grande, ha conquistato il mondo, in un tempo ormai lontano, grazie al neorealismo (i panni sporchi lavati in pubblico), grazie ai capolavori di autori mai disposti a “remare tutti dalla stessa parte” (del governo di turno) ma ognuno impegnato a fare il proprio cinema, grazie a western e polizieschi e thriller e horror inventivi e selvaggi. Mentre la commedia all’italiana era spietata nel castigare i nostri difetti.

E ora si intende ridurre il cinema a veicolo di promozione turistica? Ma quando incappi in un film girato “in favore di Film Commission” (da un pezzo infestano gli schermi), col drone che ogni 10 minuti s’alza in volo a mostrare il paesaggione, di norma mica pensi «ah, le prossime ferie voglio trascorrerle là» bensì «come mi è saltato in mente di vedere questa roba?». E all’estero credete davvero che altro non bramino se non di proiettare agiografie di italiani illustri? 3) Al credito d’imposta potranno accedere le opere di costo superiore ai 3,5 milioni purché siano proiettate (entro un mese dall’uscita) in 100 sale per un totale minimo di 2.100 proiezioni di cui una nella fascia oraria 18.30-21.30. Le opere di budget inferiore ai 3,5 milioni, per ottenere il tax credit dovranno essere proiettate in 70 sale per 980 proiezioni totali (minimo) e vale sempre il vincolo della proiezione nell’orario di punta. Trovare 70 sale disposte a ospitare un film italiano a basso budget dandogli pure uno spettacolo serale la vedo durissima, per chi non riesce ad appoggiarsi a un distributore forte. Giusto mettere un argine alla furbata dell’uscita tecnica (incassando il contributo statale dopo un paio di giorni in sala e un pugnetto di proiezioni), ma questo argine è troppo alto. Segherà le gambe a tanti produttori e distributori indipendenti (difatti sono sul piede di guerra) e a tanti giovani cineasti (e il nostro cinema ha un disperato bisogno di energie fresche, di sguardi nuovi per davvero). Mi scrive Paolo Maria Spina, produttore indipendente anconetano, attivo da 20 anni più all’estero che in Italia: «Non avrò problemi insormontabili a portare avanti le mie coproduzioni internazionali, ma per chi fa film e documentari solo italiani o destinati al solo mercato italiano, sarà difficilissimo finanziare tali progetti, se non mantenendo il budget bassissimo: tagliando brutalmente ogni voce di spesa, a cominciare dalla paga delle maestranze». Ci sono margini per emendarla, questa brutta riforma?

* Opinionista e critico cinematografico



 

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