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La Corte di Cassazione, con la sentenza 28.08.2024, n. 23229 ha fornito chiarimenti sui presupposti per configurare il concorso del consulente esterno nelle violazioni tributarie commesse da società dotate di personalità giuridica. La pronuncia riveste particolare rilevanza in quanto ridefinisce i confini applicativi dell’art. 7, D.L. 269/2003 e dell’art. 9, D.Lgs. 472/1997, fornendo nuove coordinate interpretative su una questione dibattuta.

Il caso oggetto della sentenza riguardava l’irrogazione di sanzioni tributarie nei confronti di una società di elaborazione dati, nella persona della sua legale rappresentante, per il presunto concorso in una maxi-frode fiscale realizzata da alcune cooperative. L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che il professionista avesse prestato un contributo determinante alla realizzazione degli illeciti, traendone cospicui vantaggi economici.

La Corte, nel dirimere la controversia, ha innanzitutto ribadito che l’art. 7 D.L. 269/2003 prevede che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale di società con personalità giuridica siano esclusivamente a carico della persona giuridica. Tuttavia, i giudici hanno precisato che tale principio non opera in modo automatico e indiscriminato. Il punto centrale della sentenza è la distinzione tra 2 profili: da un lato, l’identificazione del soggetto cui imputare la sanzione (se la società o la persona fisica); dall’altro, la possibilità che alla violazione concorrano più soggetti. Secondo la Corte, mentre il 1° aspetto è disciplinato dall’art. 7 D.L. 269/2003, il secondo ricade nell’ambito applicativo dell’art. 9, D.Lgs. 472/1997 sul concorso di persone.

I giudici hanno chiarito che l’art. 9 non viene abrogato implicitamente dall’art. 7, ma deve essere coordinato con esso. Ne consegue che il concorso del consulente esterno resta configurabile, ma a condizioni più stringenti: è necessario che il professionista abbia perseguito un vantaggio proprio e autonomo, distinto da quello della società.

La Cassazione ha precisato che tale vantaggio non può identificarsi nel mero compenso professionale percepito dal consulente. Deve trattarsi di un quid pluris, di benefici ulteriori e distinti rispetto al corrispettivo della prestazione. Solo in presenza di tali presupposti potrà configurarsi una responsabilità concorsuale del professionista esterno.

Ad esempio, se un commercialista fornisce consulenza fiscale ad una società, suggerendo operazioni al limite della legalità che portano a un risparmio d’imposta. Il professionista percepisce solo il suo normale compenso professionale. In questo caso, non si configurerebbe il concorso del consulente, in quanto non ha ottenuto vantaggi ulteriori rispetto al suo compenso. Caso diverso è invece quando un consulente fiscale elabora per una società uno schema evasivo complesso, ricevendo non solo il compenso professionale ma anche una percentuale significativa del risparmio fiscale illecito ottenuto dalla società. In questo scenario, il vantaggio ulteriore e distinto rispetto al normale compenso potrebbe far scattare la responsabilità concorsuale del professionista.

Le indicazioni fornite dalla Corte avranno rilevanti ricadute operative. L’Amministrazione Finanziaria, per contestare il concorso del professionista, dovrà dimostrare l’esistenza di vantaggi ulteriori e distinti rispetto al compenso. D’altro canto, i consulenti dovranno prestare particolare attenzione a non ricevere benefici anomali dalle società clienti, per non incorrere in contestazioni.

 

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