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Modena, 30 agosto 2024 – E’ stata quella ‘confessione’ resa alla fidanzata a fornire l’elemento chiave agli inquirenti per incastrarlo. Quella frase: “Ti ricordi il ragazzo che ho mandato in coma? È morto” ha fugato ogni dubbio. La prova principe di tutta l’indagine è stata proprio la confidenza auto-accusatoria di El Aouam. E’ quanto emerge dalle motivazioni della sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise nei confronti dei due imputati, l’albanese 36enne Roland Mamli e il marocchino 30enne Sidi Ahmed El Aouam, condannati rispettivamente a trenta e 21 anni di carcere per l’omicidio di Nico Hozu, il 34enne rumeno trovato esanime davanti all’ex ristorante La Fazenda la notte del 24 agosto 2021 e morto dopo un mese di agonia. Un delitto maturato negli ambienti dello spaccio, così come è emerso dalle indagini e come confermato nelle motivazioni della sentenza, in cui si sottolinea come quel comparto, ex Fazenda, si fosse trasformato nel tempo in una base di spaccio, “ricettacolo della più varia marginalità sociale, tra cui, aspetto più preoccupante, persone dedite alla commissione di reati anche non bagatellari, quali lo spaccio di droga”. Importanti anche le prove raccolte anche a carico dell’albanese, che viene definito di caratura criminale ben più ‘robusta’. Fondamentale è risultata infatti la testimonianza di una donna che contattò i carabinieri raccontando come il compagno, cliente e amico dello spacciatore albanese le avesse parlato della morte di Hozu, ovviamente dopo che il compagno e l’albanese avevano affrontato l’argomento. “Abbiamo letto con attenzione la motivazione della Corte d’Assise, che riconosce in modo chiaro e dettagliato le responsabilità degli imputati nel brutale omicidio di Nicu Hozu. La motivazione ribadisce con forza la responsabilità, per noi indiscutibile, delle due persone condannate. È stato un processo lungo e faticoso, come è ogni processo indiziario, e abbiamo cercato di portare il nostro contributo come difensori delle parti civili. Non possiamo che essere soddisfatti del risultato. La Corte ha ricostruito gli eventi con grande precisione, mettendo in luce come Nicu, un ragazzo allegro e benvoluto da tutti, sia stato vittima di un atto di violenza feroce, culminato nel suo decesso dopo un lungo stato di coma – afferma l’avvocato Roberto Ghini, che rappresenta la famiglia della vittima assieme ai colleghi Davide Ascari, Roberta Pasquesi e Alessandro Morselli – Nico aveva capito che quel luogo, La Fazenda, non era più sicuro e voleva allontanarsi definitivamente da personaggi come Mamli, ma non gli è stato permesso. Il vile gesto di gettare il corpo sulla strada nella speranza che venisse travolto da una vettura qualifica ulteriormente la crudeltà degli autori”.

 

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