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Molta gente vuole che il governo protegga i consumatori. Un problema molto più urgente è proteggere i consumatori dal governo (M. Friedman).

Vendita di nuove case USA di luglio attese oggi alle 16:00 (stima 628k da 617k di giugno).
 
Ancora debole il PMI manifatturiero di agosto dell’Europa (45,6 punti contro 45,7 atteso e 45,8 di luglio) a conferma della fatica della manifattura (soprattutto della Germania) dell’intera Europa a causa degli elevati tassi di interesse. PMI servizi, pari a 53,3 punti, in crescita sia rispetto alle attese (51,7) sia rispetto a luglio (51,9). In crescita in PMI composito (51,2 punti contro 50,1 atteso e 50,2 di luglio).
 
Richieste settimanali USA alla disoccupazione, pari a 232k, in linea con le attese e in crescita rispetto alle 228k della scorsa settimana. In ulteriore peggioramento il PMI manifatturiero di agosto (48 punti contro 49,5 atteso e 49,6 di luglio) e in crescita il PMI servizi (55,2 punti contro 54 atteso e 55 di luglio). In crescita pure il PMI composito (54,1 punti contro 53,2 atteso e 54,3 d luglio). Vendita di case esistenti di luglio, pari a 3,95 mln, in crescita sia rispetto alle 3,94 mln attese e 3,9 mln di giugno. Crediamo che i dati supportino la convinzione di un taglio dei tassi di 25 bp a settembre.
 
Verso la fine di agosto di ogni anno la Fed di Kansas City organizza un simposio di politica economica a Jackson Hole, nel Wyoming. Banchieri centrali e accademici di rilievo provenienti da tutto il mondo si riuniscono per discutere e dibattere le questioni più urgenti per i responsabili delle politiche economiche. Quest’anno, dal 22 al 24 agosto, il tema principale è “Rivalutare l’efficacia e la trasmissione della politica monetaria”. Questo non sorprende, dato che l’enigma principale per gli analisti negli ultimi due anni è stata la resilienza dell’economia di fronte ad una politica monetaria apparentemente restrittiva.
 
L’anno scorso, la conferenza si è concentrata su “Cambiamenti strutturali nell’economia globale”. I temi dell’anno scorso e di quest’anno riflettono i grandi cambiamenti nell’economia globale dopo i due grandi shock all’inizio di questo decennio: la pandemia globale e l’invasione russa dell’Ucraina. Non sono stati questi eventi a causare i grandi cambiamenti nella struttura economica globale, ma le risposte politiche a tali eventi. Diversi paesi hanno infatti risposto in modo diverso alla pandemia e all’invasione, ottenendo risultati differenti.
 
La Cina per esempio non ha inondato la sua popolazione di sussidi per far fronte ai lockdown, mentre gli Stati Uniti e l’Europa, tra gli altri, lo hanno fatto. Di conseguenza, l’inflazione è diventata un problema in Europa e negli Stati Uniti, dove ha superato in media il 4% negli ultimi anni, mentre in Cina è rimasta bassa perché non ha fatto ricorso alla stampa massiccia di denaro per finanziare spese fiscali molto più elevate.
 
Allo stesso modo, vari paesi hanno risposto diversamente all’invasione russa dell’Ucraina. Gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati più stretti hanno imposto sanzioni commerciali alla Russia e hanno sequestrato le sue riserve in valuta estera depositate in istituzioni finanziarie occidentali. Questo ha avuto un impatto enorme sui flussi commerciali e finanziari. L’Europa ha smesso di acquistare energia dalla Russia, mentre Cina e India hanno colmato la differenza non osservando queste sanzioni.
 
Ovviamente la domanda di riserve in dollari nei mercati valutari ne è stata influenzata. I paesi nei mercati emergenti (ME), come la Cina, stanno diversificando le loro riserve allontanandosi dai dollari, ora visti come vulnerabili a confische, mentre le banche centrali dei ME stanno aumentando le loro riserve d’oro come alternativa.
 
L’attenzione del simposio in corso, crediamo possa essere direttamente correlata a questo nuovo mondo di politica fiscale più attivista e stimolativa, che ha creato i deficit molto più ampi degli ultimi anni. La politica monetaria è sempre più legata a doppio filo a quella fiscale. Come nota un recente articolo illuminante di Miran e Roubini, “l’uso frequente del QE dalla Crisi Finanziaria Globale ha messo in luce la barriera in erosione tra politica monetaria e fiscale e ha aperto la porta a strumenti come l’ATI. (Activist Treasury Issuance)”.
 
Uno dei motivi per cui l’economia ha evitato la recessione e la politica monetaria è sembrata meno efficace nel 2022 e nel 2023 nonostante gli aggressivi rialzi dei tassi della Fed è stato lo stimolo compensativo delle grandi spese fiscali e la manipolazione delle finanze del Tesoro per mantenere elevate le riserve del sistema bancario anziché drenare liquidità, come la stretta quantitativa della Fed e i rialzi dei tassi normalmente avrebbero fatto in assenza di questo intervento attivista del Tesoro.
 
Siamo convinti che questo nuovo uso proattivo della politica fiscale abbia implicazioni per il cosiddetto tasso di interesse neutrale. Molti sostengono che la Fed sia troppo restrittiva, poiché il tasso sui fondi federali al 5,25% è ben al di sopra della maggior parte delle stime per il tasso neutrale, che generalmente si aggirano intorno al 2% – 2,5%. Il recente crollo dei mercati finanziari ha causato richieste isteriche di riduzione dei tassi da parte della Fed, basate su questo grande divario tra i tassi attuali e le stime molto più basse per i tassi neutrali. Tuttavia, questa analisi contrasta con il comportamento effettivo del mercato. Da quando la Fed ha cambiato direzione alla fine dello scorso anno, le misure delle condizioni finanziarie sono passate da un livello approssimativamente neutrale a uno molto più accomodante. Ciò è stato confermato dal diffuso boom globale dei prezzi azionari e da sette mesi consecutivi di aumenti nelle misure di slancio economico come l’indicatore BofA Global Wave.
 
La contraddizione tra l’idea che la politica monetaria sia restrittiva, basata sul grande divario tra l’attuale tasso sui fondi federali e una possibile stima errata del tasso neutrale, e la robusta performance delle attività a rischio e delle tendenze degli utili è una prova diretta contro la nozione che la politica monetaria sia restrittiva. La fonte di questa contraddizione è l’assunzione di un tasso neutrale così basso. Non ha senso considerare il tasso neutrale in un vuoto, senza alcun contesto su ciò che sta accadendo nell’economia, specialmente riguardo alla politica fiscale, data questa nuova svolta strutturale verso deficit permanenti più ampi e la manipolazione dell’ATI nei mercati monetari.
 
Che detto in altri termini significa che l’orientamento congiunto della politica monetaria e fiscale è sostanzialmente neutrale: la Fed non sta quindi esercitando una restrizione economica significativa, contribuendo alla persistenza dell’inflazione. Se la politica economica è già neutrale, allora non è sorprendente che le condizioni finanziarie mostrino pochi segni della restrizione che, in un contesto isolato, le stime del tasso neutrale che non tengono conto delle condizioni fiscali avrebbero altrimenti indicato.
 
In sintesi, la politica monetaria ha aumentato i tassi a livelli più alti che compensano semplicemente il grande incremento dello stimolo fiscale per evitare che l’economia surriscaldi ulteriormente e che l’inflazione cresca ancora di più. Questo cambiamento strutturale verso una politica fiscale più espansiva richiede un tasso neutrale più elevato per mantenere l’economia statunitense in un equilibrio meno inflazionistico.
 
Oltre alla pressione al rialzo che l’ATI e la spesa fiscale esercitano sui tassi di interesse, altri fattori hanno contribuito a ridurre l’efficacia degli aumenti dei tassi nel rallentare l’economia in questo ciclo economico. Le politiche di tassi zero e QE aggressivo hanno spinto i tassi ipotecari e i costi di finanziamento obbligazionario ai minimi storici nei primi tre anni di questo decennio. Molti proprietari di case e aziende hanno approfittato di questi tassi bassi per bloccare finanziamenti a lungo termine ben al di sotto dei tassi di inflazione.
 
Gli aumenti dei tassi della Fed, a partire dal 2022, hanno aumentato i loro redditi da interessi, mentre le spese per interessi passivi non sono cambiate a causa di questi finanziamenti a lungo termine a tassi bassi. Di conseguenza, abbiamo visto aumentare i redditi netti da interessi delle grandi società con accesso ai mercati obbligazionari man mano che la Fed alzava i tassi, riducendo l’efficacia della stretta monetaria nel rallentare l’economia.
 
Allo stesso modo, i consumatori con mutui a tasso fisso basso hanno beneficiato dei maggiori introiti derivanti dagli aumenti dei tassi della Fed nei loro fondi del mercato monetario. Ovviamente, alcune parti dell’economia sono state rallentate dai tassi più alti. Gli affittuari a basso reddito con debiti auto e carte di credito, che reagiscono più rapidamente agli aumenti dei tassi, sono sproporzionatamente colpiti da questo nuovo mondo di tassi più alti e maggiore inflazione, soprattutto perché non dispongono del cuscinetto patrimoniale in crescita che protegge i consumatori a reddito più alto.
 
Ma ancora, le piccole imprese senza accesso ai mercati obbligazionari hanno una quota molto maggiore di debito a tasso variabile, che ha danneggiato i loro utili con l’aumento dei tassi. Questi sono i settori dell’economia in cui il rallentamento è stato più pronunciato con l’aumento dei tassi, soprattutto dopo che i grandi sussidi fiscali destinati ai consumatori a basso reddito e le piccole imprese si sono esauriti.
 
Per valutare l’efficacia della politica monetaria, bisogna quindi tenere conto anche del contesto fiscale. La graduale erosione dell’indipendenza della politica monetaria, man mano che la politica fiscale diventa più attivista, implica che la pressione politica per un’inflazione più alta potrebbe manifestarsi come accaduto negli anni ’70 se la Fed mantenesse i tassi di interesse al di sotto del nuovo tasso neutrale più alto.
 
 
 
 



 

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