«C’è sicuramente un problema di identità. È in corso una nuova polarizzazione tra Nord e Sud, e in questo contesto è mancata un’idea di sviluppo anche per l’asse centrale. Che paga, ritengo, un grande problema di collegamenti infrastrutturali. Nessuno ne parla, ma c’è un’assenza di connessioni orizzontali». Lo spiega in un’intervista al Messaggero il direttore generale dello Svimez (l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) Luca Bianchi, parlando dell’ultimo Rapporto sull’economia delle Regioni che mostra un Centro Italia in difficoltà.
L’intervista «Ci si è concentrati soprattutto sullo sviluppo dei collegamenti che da nord vanno a sud – aggiunge – pochissimo su quelli che vanno da ovest a est. Manca una connessione tra i territori dell’Italia centrale. Si soffre soprattutto sull’asse Umbria-Lazio-Toscana-Abruzzo e Marche. Manca un disegno di sviluppo complessivo. Un contesto nel quale ci sono stati dei fattori di crisi specifica. La deindustrializzazione ha riguardato in maniera marcata l’Umbria. L’unica Regione che forse riesce a salvarsi è il Lazio che, in qualche misura, vive intorno a Roma. Ma nelle province di Frosinone e Latina c’è un peggioramento molto rilevante della situazione economica e sociale. C’è una sorta di meridionalizzazione di questa parte della Regione. C’è per esempio un problema legato alla legalità. Tutta la provincia di Frosinone soffre invece della crisi dell’automotive».
Frammentazione «C’è una frammentazione del Centro. Alcuni territori – conclude -, come il basso Lazio e l’Umbria, si stanno effettivamente avvicinando al Sud. Altri rimangono agganciati al Nord, come la Toscana, senza però averne il dinamismo. Poi c’è Roma che resta un microcosmo a parte. Ma quello che attualmente manca è un’idea politica di sviluppo dell’area centrale del Paese. Sarebbe forse il momento di iniziare a pensarci».
La Cgil Commentando l’intervista la segretaria regionale della Cgil parla di un’Umbria che è «alla guida di questo processo di meridionalizzazione». «La nostra infatti – aggiunge – è la regione che fa segnare i peggiori risultati in Italia sia in termini di crescita economica (-1,6 per cento del Pil tra il 2019 e il 2022) che di calo demografico. Una situazione critica che non può più essere sottaciuta né sottovalutata». Da qui l’auspicio che la prossima giunta metta in campo «interventi radicali che puntino a invertire questa tendenza». «Mentre il Nord e anche il Sud del Paese dopo la pandemia hanno ripreso un percorso di crescita, il Centro arranca e l’Umbria è proprio la Cenerentola d’Italia in termini di sviluppo – osserva Paggio – Questo dipende evidentemente dalla mancanza di politiche economiche efficaci, che frenino la deindustrializzazione e la terziarizzazione al ribasso dell’economia, e da un’imprenditoria che continua a fare utili, ma non investe, soprattutto nel lavoro, come dimostrano le retribuzioni troppo basse e gli alti tassi di precarietà».
Il tunnel Per Paggio l’Umbria è quindi in un tunnel fatto di dinamiche demografiche negative, andamento dell’economia deludente, inflazione e bassa qualità del lavoro. Il tutto « mentre l’autonomia differenziata incombe – dice – come una mannaia sul nostro futuro. Come Cgil chiediamo da tempo di dotare la nostra regione di una politica industriale capace di restituire una prospettiva in particolare alle giovani generazioni. È ora di farla finita con incentivi e marchette elettorali e fare scelte strategiche per guidare le transizioni ambientale e digitale».
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