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Rome, Italy – January 29, 2024 – Italy – Africa Summit . In the picture Italy’s Prime Minister Giorgia Meloni with Kais Saied , President of Tunisia

Il governo italiano ha avviato un progetto pilota per ridurre gli sbarchi dalla Tunisia, concedendo un prestito di 50 milioni di euro per finanziare il bilancio statale tunisino del 2024 e promuovere la crescita economica attraverso lo sviluppo delle energie rinnovabili e il sostegno alle piccole e medie imprese. Dopo gli accordi ed il Memorandum UE-Tunisia stipulati con Saied la rotta libica e la rotta tunisina si sono unificate, nel senso che un numero crescente di persone migranti provenienti dall’area subsahariana e intrappolate in Tunisia sono state espulse in LIbia, magari anche abbandonate in zone desertiche a sud del confine di Ras Jedir, e quindi hanno cercato una via di fuga dalle coste della Tripolitania. Per un altro verso, le imbarcazioni salpate dalla Libia occidentale hanno cercato di seguire il limite della zona SAR (di ricerca e salvataggio) riconosciuta alla Tunisia e corrispondente alle sue acque territoriali, dove le motovedette libiche non si avventurano, ma dove i tunisini non soccorrono le imbarcazioni che sono salpate dalle coste libiche. E se i barconi procedono verso l’alto mare raggiungono la zona SAR maltese, dove è altrettanto certo che i maltesi non arriveranno con unità di soccorso, ma semmai, quando ci sono mezzi sufficienti, si coordineranno con i libici per delegare respingimenti collettivi illegali verso porti non sicuri nei quali i respinti scompaiono rapidamente, come conferma l’OIM, per essere avviati nei centri di detenzione. Di fatto ormai la rotta tunisina si è sovrapposta alle rotte libiche e gli interventi di intercettazione nel Mediterraneo centrale avvengono in stretta cooperazione con gli assetti aerei garantiti da Frontex, con sporadici interventi delle centrali di coordinamento italiane e maltesi, che rimbalzano sulle autorità libiche e tunisine la responsabilità dei soccorsi in acque internazionali. E poi si sanzionano con i fermi amministrativi le navi umanitarie che non obbediscono agli ordini dei guardiacoste libici che sparano. Così il cerchio della disumanità si chiude.

La Tunisia ha ottenuto ulteriori finanziamenti da altre fonti internazionali e locali, mirando a migliorare l’occupazione e a indirizzare le cause della migrazione economica.
L’Italia ha un interesse diretto nella crescita economica della Tunisia, non solo per contenere la migrazione, ma anche per rafforzare gli scambi commerciali che hanno visto un export italiano di circa 1,8 miliardi di euro verso il Paese nordafricano nei primi sette mesi del 2024.

Questi accordi ignorano totalmente il tema dei diritti umani come dimostra il report «Mare Interrotto» pubblicato qualche settimana fa da da Alarm Phone sulle pratiche di intercettazione della Guardia Nazionale Tunisina nel Mediterraneo Centrale

Il rapporto, pubblicato appena dopo l’annuncio dell’istituzione della zona di ricerca e soccorso (SAR) tunisina, documenta come la Tunisia non possa essere considerata un porto o un paese sicuro dove riportare le persone che tentano di attraversare il Mediterraneo. Soprattutto denuncia che la Guardia Nazionale Tunisina 2, come la cosiddetta guardia costiera libica, invece che effettuare operazioni di ricerca e soccorso, nella maggior parte dei casi infligge gravi violenze, abusi e violazioni dei diritti umani alle persone che dovrebbe soccorrere; spesso sono queste stesse operazioni a causare naufragi, a uccidere le persone, a lasciarne dispersi i corpi.

«Hanno spinto la nostra barca e l’acqua ha iniziato a entrare, la gente ha cominciato a gridare […] la barca della marina si è allontanata e la nostra barca si è rovesciata. C’erano madri con bambini, donne incinte. Sono caduta in acqua con il mio bambino sulla schiena. Volevo nuotare ma un uomo si è aggrappato a me e ci ha spinto sott’acqua […] Ho cercato di dibattermi, ho nuotato verso la barca che ci aveva affondato. Ho visto il signore che ci aveva affondato e non ha fatto nulla, ci ha guardato morire. […]» , questa la testimonianza di Maria (nome di fantasia) che ha perso suo figlio e, purtroppo come tante altre persone, è stata privata della sua salma, che ancora oggi non sa se e dove sia sepolta. Tutti i minori a bordo, 9 in tutto, hanno perso la vita in questa strage.

Le pratiche di intercettazione in mare svolte dalle autorità tunisine e testimoniate nel rapporto sono violente e illegali. Spaziano dalla mancata assistenza all’effettuazione di manovre pericolose concepite intenzionalmente per far ribaltare le imbarcazioni in difficoltà e interrompere il loro viaggio; dall’impiego della minaccia e della violenza, come speronate, spari e bastonate, al prelievo del motore e richieste di riscatto, fino all’abbandono alla deriva.
«Poco dopo la nostra partenza, abbiamo visto da lontano le guardie costiere tunisine. Quando sono arrivate all’altezza della nostra barca, ci hanno chiesto di spegnere il motore, cosa che abbiamo fatto. […] Ci hanno fatto aspettare nell’acqua per tre ore. Non ci hanno dato né da bere né da mangiare, solo tre di noi avevano un giubbotto di salvataggio. Verso le 7 del mattino, […] le guardie costiere hanno iniziato a fare cerchi intorno alla nostra barca. Questo creava onde e avevamo paura di capovolgerci da un momento all’altro. Abbiamo chiesto perché cercassero di ucciderci. Uno di loro ha risposto che erano gli ordini che aveva ricevuto e che gli dispiaceva dover fare questo».

Non è vero che sia ”crollata” la “rotta mediterrane”a. Se gli arrivi alle Canarie aumentano, si tratta di migranti che fuggono dal Senegal e da paesi limitrofi, ben diversi dai gruppi di nazionalità diversa che sono intrappolati in Libia e Tunisia, dopo essere stati intercetttati in acque internazionali e riportati a terra. Persone in fuga da una situazione strutturale di abusi “indicibili” e deprivazione, di ogni diritto, che ci riproveranno ancora, e che arriveranno in massa sulle coste italiane, anche senza i soccorsi delle ONG, non appena le condizioni del Mediteraneo centrale lo permetteranno.

Da mesi gli esponenti del governo italiano rilanciano i loro successi nella lotta ai trafficanti sbandierando il calo degli arrivi dalle coste nordafricane dopo il Memorandum UE-Tunisia, fortemente voluto dalla Meloni, ed il rafforzamento del dispositivo di intercettazione della sedicente Guardia costiera libica, assistita dal tracciamento aereo di Frontex. Come al solito si tratta di statistiche rilevate nei mesi invernali, quando le condizioni meteo incidono maggiormente sulle possibilità di traversata del Mediterraneo, mentre cresce in modo esponenziale il rapporto tra le persone che riescono a fuggire dalla Libia o dalla Tunisia e quelle che fanno naufragio in alto mare, o muoiono dopo giorni di abbandono in acque internazionali. Per non parlare delle crescenti violazioni dei diritti umani nei paesi con i quali l’Unione europea e l’Italia hanno stretto accordi per bloccare le partenze dei migranti e chiudere ogni via di fuga. Comincia intanto ad incrinarsi davanti ai Tribunali la visione della Tunisia come paese terzo “sicuro” Il 4 marzo scorso la Commissione europea ha annunciato l’erogazione del finanziamento previsto dal Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia ma il Parlamento europeo ha votato a maggioranza una posizione che chiede alla stessa Comissione chiarimenti sui criteri che hanno giustificato l’esborso e critica la scelta di versare i 150 milioni previsti dal Memorandum in una tranche unica. Perchè si dubita che la Tunisia di Saied rispetti i diritti umani dei migranti, oltre che degli stessi tunisini. E sono documentati respingimenti collettivi illegali dalla Tunisia alla Libia. Mentre la Libia non garantisce porti sicuri di sbarco ancora oggi, e non solo guardando al 2018, quando si verificavano i respingimenti collettivi illegali condannati dalla Corte di Cassazione. Lo scorso anno, la Commissione indipendente Onu sui diritti umani ha accusato la guardia costiera libica di essere parte attiva nella filiera del traffico di esseri umani.

Il rapporto causa-effetto tra gli accordi con i paesi terzi e le stragi in mare è sempre più evidente. Perche’ le “intercettazioni” non sono attività di ricerca e salvataggio ma “law enforcement” che lascia morire. E i tunisini non vanno a soccorrere chi parte dalla Libia. Secondo quanto riportato dalla Guardia costiera tunisina a margine dell’ultima strage di cui si apprende, “The coastguard found the dead while intercepting a boat with 24 surviving migrants of “different nationalities,” who had also set off from a “neighboring country.”

Come si legge in un Rapporto pubblicato da IRPIMEDIA “sia che si tratti della guardia costiera o della marina militare, le operazioni di salvataggio tunisine vengono comunque ancora effettuate in un ambiguo spazio di “non-diritto”. Da un lato, la Tunisia non dispone ancora di una legge sul diritto d’asilo e continua a criminalizzare la migrazione irregolare. Un migrante di nazionalità non tunisina ha quindi il diritto di richiedere l’asilo nel Paese rivolgendosi all’Unhcr, evitando così l’espulsione, ma non avrà diritto di lavorare nel Paese, rimanendo ai margini della società. Dall’altro, manca ancora la formalizzazione della Regione di ricerca e soccorso, ovvero di quell’area di competenza in cui un Paese è formalmente tenuto a prestare soccorso”.

Irina Smirnova

Fonte: www.a-dif.org, meltingpot.org

 

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