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I dati sull’occupazione femminile diffusi recentemente dall’Istat allarmano i sindacati. Nonostante i progressi in diversi ambiti della vita sociale e professionale, anche a Modena il divario occupazionale tra uomini e donne resta significativo.

Secondo le ultime rilevazioni effettuate in provincia di Modena su persone in età lavorativa, gli uomini occupati sono 180mila, pari al 75,6% della popolazione maschile, mentre le donne occupate sono 145mila, pari al 65,1% della popolazione femminile.

Inoltre, se dal 2022 gli impieghi di lavoro per gli uomini sono aumentati di circa 1.000 unità, le donne hanno visto una diminuzione di circa 2.000 posti.

Un andamento negativo che si inserisce in un quadro nazionale ancora più problematico, se si pensa che nel 2023 l’Italia, superata dalla Grecia, è diventata l’ultimo paese in Europa per tasso di occupazione femminile.

“In Italia – denuncia Aurora Ferrari, della Segreteria confederale della Cgil di Modena – lavora soltanto una donna su due.

È vergognoso, specialmente se constatiamo che il tasso d’occupazione femminile in paesi come Francia, Germania e Regno Unito oscilla tra il 67 e il 74%.

Ci troviamo di fronte a un problema che deve essere affrontato in maniera strutturale.

Purtroppo, invece, da anni a questa parte, si sono succedute una serie di misure provvisorie e bonus ridicoli che non hanno minimamente risposto alle necessità reali delle lavoratrici. Oggi serve investire su infrastrutture come asili nido, scuole dell’infanzia e promuovere un sistema di welfare che non faccia cadere l’impegno relativo alla cura dei bambini e dei più fragili soltanto sulle donne. Disgraziatamente, viviamo in un paese in cui si tende a ritenere che la cura sia una prerogativa esclusivamente femminile”.

Tra le proposte avanzate dalla Cgil, si annoverano l’utilizzo di congedi parentali da parte degli uomini, il supporto all’assunzione di lavoratrici madri e la riduzione del gap salariale.

“Fino a quando il salario delle donne sarà inferiore a quello degli uomini – precisa Ferrari – sarà sempre il primo ad essere sacrificato in situazioni di crisi economica o familiare.

Ad esempio, durante il Covid, su un totale di 8.000 posti di lavoro persi, quelli che appartenevano a donne erano più del doppio dei corrispettivi maschili.

È quindi necessario impegnarsi immediatamente per il superamento di questo divario, poiché, come confermano i dati Istat, la riduzione dell’occupazione femminile rappresenta una perdita di ricchezza per l’intero paese”.

Tra le donne più colpite – prosegue Ferrari – ci sono quelle nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, mediamente con un alto livello di istruzione e già avviate verso una carriera professionale.

È scandaloso che queste persone continuino ad essere svantaggiate rispetto agli uomini sia sotto l’aspetto dell’occupazione, sia degli stipendi.

Per fare un esempio, nel settore manageriale, soltanto il 28% delle donne italiane ricopre posizioni apicali. Serve invertire la rotta.

Un ultimo aspetto sottolineato che allarma ulteriormente Cgil è la correlazione tra la mancanza di occupazione femminile e la violenza di genere.

“Laddove le donne non sono indipendenti economicamente – conclude Ferrari – vi è un aumento esponenziale dei casi di violenza.

Per questo motivo, a fronte degli episodi di cronaca di cui ormai quotidianamente siamo testimoni, il quadro che emerge dai dati nazionali ci preoccupa moltissimo.

È arrivato il momento di smettere di dare semplici contentini e realizzare un cambiamento concreto di cui possa beneficiare tutta la società”.

 

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