NEET, ovvero “Not in Education, Employment or Training”: sono i giovani under 29, non impegnati nello studio, nel lavoro, o nella formazione. Ragazzi, che pur avendo (nella maggior parte dei casi) acquisito un titolo di studio sono ai margini della società attiva e stentano ad entrare a farne parte. In Italia, la presenza di NEET è sempre stata piuttosto consistente: il 16.1% dei giovani della fascia presa in esame, in cifre circa un milione e settecentomila persone. Il valore nostrano è inferiore solo a quello rumeno ed è decisamente più alto rispetto alla media europea (11.2% dei giovani under 29), anche se sensibilmente ridotto dopo il picco rilevato negli anni del Covid.
E proprio le conseguenze della pandemia restano uno degli elementi causali maggiormente indicato per lo status di NEET, anche se in realtà ci sono diverse e complesse concause. Cosa spinge infatti i ragazzi a non prendere in mano la propria vita, a non coltivare sogni e pianificare il loro futuro attraverso scelte di studio o lavoro? Sicuramente la difficoltà ad integrarsi efficacemente nel sistema formativo ( talvolta fin troppo complesso e ricco nell’offerta), o gli sforzi spesso vani di entrare nel mercato del lavoro a condizioni che permettano di vivere e non di sopravvivere sono fattori dissuasivi. Ciò crea un circolo vizioso di esclusione sociale e pone le basi per una sorta di “disconnessione” dalla fetta attiva della società.
I giovani italiani si emancipano economicamente tardi, talvolta protetti dalle famiglie, talvolta incapaci di imporsi pur a fronte di titoli acquisiti attraverso percorsi specialistici di tipo universitario.
Le città dove il fenomeno incide di più sono Catania, Palermo, Napoli, Messina, Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Siracusa, Frosinone, Enna, Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Como e Cosenza.
Un problema quindi da mettere a fuoco nelle sue possibili relazioni, accomunate da un fenomeno che limita le potenzialità di crescita dei giovani e dei territori stessi.
La principale misura messa in campo in Italia per riattivare i NEET è stato il Piano Garanzia Giovani, in coordinato dall’Anpal, gestito dalle singole regioni.
Le misure previste dal programma sono: accoglienza, orientamento, formazione, accompagnamento al lavoro, apprendistato, tirocini, servizio civile, sostegno all’autoimprenditorialità, mobilità professionale nel territorio nazionale o in Paesi dell’Unione europea, incentivi e bonus occupazionali per le imprese.
Mentre si potenziano formule di inserimento lavorativo miste come l’apprendistato professionalizzante (contratto di lavoro unito ad una trasmissione di competenze pratiche e conoscenze tecnico-professionali). Per favorire l’assunzione come lavoratore dipendente, Garanzia Giovani eroga inoltre dei bonus (sistema di incentivi) per le aziende che offrono un contratto a tempo indeterminato o determinato di durata almeno di sei mesi, o un contratto di apprendistato professionalizzante.
Inoltre, il progetto Youth Guarantee prevede la mobilità professionale con periodi di lavoro all’estero. È previsto un rimborso spese in forma di voucher erogato dalla Regione per incentivare questa soluzione in ottica di una maggiore integrazione fra i cittadini europei.
Requisiti per il Piano Garanzia Giovani
I requisiti per l’iscrizione a garanzia giovani sono generici perché questa misura tende a includere quanti più soggetti interessati possibili. Infatti, basta avere
- un’età compresa fra i 15 e i 29 anni compiuti,
- essere cittadini EU residenti in Italia,
- essere disoccupati,
- non studenti
- non in formazione.
Ma quanto fatto finora, evidentemente, non basta.
Occorre mettere al centro dell’azione politica la questione giovanile vista sia sotto il profilo socio-economico. Ci sono opportunità quali il programma nazionale Giovani donne e lavoro 2021-2027 e le quote del Fondo sociale europeo+ 2021-2027 per il contrasto della disoccupazione giovanile, ma occorre monitorare i risultati e impedire la dispersione delle risorse verso operatori e strumenti poco efficaci .
Occorre ridare fiducia ai ragazzi, assicurando loro condizioni lavorative adeguate, stipendi dignitosi e l’opportunità di sentirsi davvero parte del sistema.
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