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di Vincenzo D’Anna*

La notizia, per quanto forte, non desta clamore né i commenti dei soliti catastrofisti che siedono in Parlamento nei banchi dell’opposizione: il debito pubblico italiano ha raggiunto la vetta, finora inesplorata, dei tremila miliardi di euro!! A cosa dobbiamo questa incuria, questa noncuranza generalizzata della pubblica opinione? Semplice: al diffuso convincimento che quel debito non ci appartenga come singole persone; che, tutto sommato, sia uno dei tanti indicatori economici. Un affare per economisti e per politici, insomma. L’uomo della strada è convinto che quella stratosferica cifra, finanche difficile da scrivere, non lo riguardi. Tuttavia così non è per la elementare ragione che… nessun pasto è gratuito. Detto in parole povere: nessun debito contratto dallo Stato ci è estraneo, perché, alla fine, quel pasto (debito), prima o poi, dovrà essere pagato da qualcuno. Così soleva ripetere Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, per spiegare che “tutto ha un costo, e se qualcosa sembra essere gratuita, significa solo che il costo è nascosto o distribuito tra diverse parti”. Quando ci dicono che lo Stato tende ad elargire bonus, sgravi fiscali o contributivi, pensioni, redditi di inclusione oppure di cittadinanza, aggiungendovi la parolina magica della gratuità, siate sicuri che nulla di quello che vi viene offerto gratis lo è per davvero. Al massimo lo pagheranno altre categorie di cittadini sotto diversa forma, per lo più fiscale, oppure con la soppressione di agevolazioni ed opportunità statali e quindi a discapito di altri segmenti della società. Quando pare che nessuno paghi alcunché siate sicuri che quello che vi viene concesso finirà per essere finanziato appunto con l’aumento del debito statale. Il debito è quell’entità economica che costituisce una palla al piede per tutta la nazione, per tutte le categorie di cittadini, per il bilancio dello Stato e la capacità di governare e garantire servizi. Provoca inoltre il deprezzamento del valore dei titoli di Stato italiani (prossimi alla carta straccia secondo le agenzie di rating) con i quali lo Stato incassa i soldi per poter pagare stipendi e pensioni. Tale deprezzamento colpisce il valore dei nostri risparmi investiti in beni rifugio. Insomma l’aumento del debito statale, è una tassa incorporata, invisibile, nella nostra vita che paghiamo sotto altra forma, oltre al fatto che dobbiamo sborsare ben cento miliardi di euro ogni anno per interessi passivi. Il valore della  stessa proprietà ne viene intaccata, perché prima o poi graveranno altre  imposte anche su quella, se non proprio una tassa sui patrimoni che la sinistra insegue da tempo ritenendola un  elemento di perequazione e giustizia  sociale. Ed è in nome di quest’ultima che spesso si allargano i cordoni della borsa governativa, nell’inconfessata speranza che quel denaro possa orientare favorevolmente categorie e blocchi sociali a concedere il voto verso il proprio partito, oppure il governo. Insomma l’invito a tavola col pasto gratuito è spesso un invito di convenienza politico-elettorale. L’italiano ben conosce questa antica pratica politica, vecchia quanto il mondo, e si illude che il numero dei pasti offerti coincida con il numero delle ricorrenti competizioni elettorali. Nessuno lo confesserà mai né gli anfitrioni, né gli invitati, ancorché per primi lorsignori parlamentari abbiano varato un’insulsa legge  sul cosiddetto “traffico di influenze” concedendo  ai magistrati di perseguire solo chi il  favore lo concede e non quelli che lo ricevono!! Questa disparità è forse l’espressione che per gli italiani sia lecito chiedere e ricevere secondo l’aurea invocazione “tengo famiglia”. Sia come sia, nell’immaginario collettivo il debito statale viene percepito come un accidente del quale debba preoccuparsi solo chi siede a Palazzo Chigi. Per quanto vasta sia la categoria dei moralisti e dei contestatori del sistema politico, l’argomento, insomma, poco interessa. Di questo strabismo morale troviamo solide radici genetiche soprattutto nel Mezzogiorno, essendo, noi meridionali, figli dei coloni greci. Torna così alla mente la disputa che il filosofo Carneade (quello citato da Don Abbondio nei “Promessi Sposi”) tenne innanzi al Senato di Roma, per sostenere che nessuna tassa fosse dovuta all’Urbe perché i greci, pur vinti, avevano dato alla città del Tevere la propria millenaria cultura. In pratica, ognuno si illustra come meglio crede ma per tutti il pasto gratuito viene chiesto come fatto legittimo. Ora, non vorremmo disturbare lo svago di coloro che godono delle meritate ferie, ma, torniamo a ribadirlo: i pasti gratuiti non esistono ed un debito Statale così enorme e spropositato, è un affare di tutti, dal momento che, prima o poi, qualcuno dovrà passere alla cassa!! Probabilmente saranno i bamboccioni del terzo millennio, quelli a cui appartiene un futuro carico di debiti e di incognite.

*già parlamentare



 

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