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Il Reddito di cittadinanza è stato sostituito, come noto, dall’Assegno di inclusione. Ciò ha comportato una netta riduzione del numero dei beneficiari, soprattutto a causa del cambiamento dei criteri di accesso.
Sebbene i nuovi criteri abbiano prodotto indubbiamente effetti negativi nei confronti di coloro che percepivano il reddito di cittadinanza e che, ad oggi, non soddisfano i nuovi requisiti, alcuni di essi sono comunque comprensibili. Infatti, nelle intenzioni del Governo, il bonus dell’Assegno di inclusione dev’essere riservato esclusivamente a coloro che non possono lavorare. Tuttavia, ci sono altre condizioni che stanno ingiustamente escludendo famiglie, le quali in realtà dovrebbero beneficiare di tale sostegno.
Un esempio lampante è quello del criterio legato al patrimonio immobiliare. Molti Centri di Assistenza Fiscale (Caf) hanno, infatti, evidenziato che questo requisito penalizza numerose famiglie in difficoltà economica, impedendo loro di accedere anche al contributo di 350 euro del Supporto per la formazione e il lavoro, destinato a soggetti abili allo svolgimento di attività lavorativa e che possono partecipare a percorsi formativi e di orientamento.

Vediamo, quindi, com’è cambiato il requisito del patrimonio immobiliare nel passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione.

Ebbene, con il Reddito di cittadinanza, la proprietà della prima casa non veniva considerata ai fini del calcolo del valore del patrimonio immobiliare, necessario per l’accesso al bonus. L’unico limite era che tale valore totale non superasse i 30.000 euro. In questo calcolo quindi la prima casa veniva esclusa, indipendentemente dal suo valore.
Con il passaggio all’Assegno di inclusione il limite dei 30.000 euro rimane, ma con una sostanziale differenza: la prima casa è esclusa dal calcolo solo se il suo valore, ai fini dell’Imu, non supera i 150.000 euro.
Questo significa che chi possiede una casa con un valore Imu superiore a 150.000 euro è automaticamente escluso dall’Assegno di inclusione, senza tener conto del reddito complessivo della famiglia.
Tale novità ha portato, quindi, ad effetti negativi per molte persone, le quali in precedenza beneficiavano del Reddito di cittadinanza ma che, oggi, non possono più accedere all’Assegno di inclusione e al Supporto per la formazione e il lavoro, poiché entrambe le misure condividono il criterio immobiliare.

Trattasi di una condizione piuttosto discutibile, in quanto si fonda sulla presunzione che il possesso di una casa, con un valore Imu anche di poco superiore a 150.000 euro, implichi automaticamente una sicurezza economica.
A dire il vero, la reale situazione è diversa, in quanto i Caf hanno evidenziato come questo criterio abbia escluso dall’aiuto numerose famiglie con redditi nulli, che avrebbero invece un disperato bisogno di sostegno economico.
Spesso, infatti, si tratta di famiglie che hanno sì la fortuna di possedere una casa, talvolta ereditata, ma che non per questo sono meno svantaggiate di altre.
La proprietà di un’abitazione non genera reddito: anzi, per chi ha un mutuo in corso, rappresenta un ulteriore peso economico. Tuttavia, nel determinare l’accesso all’Assegno di inclusione, non si tiene conto del mutuo residuo, contrariamente a quanto avviene nel calcolo dell’Isee, dove la quota residua viene sottratta dal valore Imu.
 
Quindi, chi possiede una casa valutata oltre 150.000 euro, o l’ha ricevuta come donazione o in eredità, viene automaticamente escluso dall’Assegno di inclusione.
 
Rimuovere questo vincolo sarebbe auspicabile, soprattutto considerando che il numero di beneficiari dell’Assegno di inclusione è inferiore alle previsioni. Le risorse non utilizzate potrebbero essere impiegate per ampliare la platea dei destinatari, escludendo solo coloro che hanno più proprietà, idonee a generare reddito.



 

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