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Per le aziende familiari italiane, affrontare le sfide della globalizzazione e il cambiamento generazionale non è un’impresa di poco conto. Su questo si concentra il lavoro di Alberto Guillon Mangilli, principal dell’ufficio milanese di Heidrick & Struggles, che ha analizzato i cambiamenti che le aziende italiane “devono necessariamente affrontare se vogliono competere sui mercati globali”. Anche le aziende emiliano-romagnole e marchigiane non fanno eccezione.

Perché è necessario fare questo salto per le imprese familiari?

“Il contesto economico è cambiato, così come le sfide che le aziende devono affrontare. L’Emilia-Romagna si è affermata nel tempo in settori come l’automotive, la meccanica e l’agroalimentare. Anche il settore della moda è forte, e insieme al tessile è importante anche per le Marche, che vantano un robusto settore calzaturiero e un distretto del mobile e dell’arredamento. Tuttavia, per competere sui mercati globali, è necessario un cambiamento”.

Cosa frena questo processo?

“Sicuramente c’è un tema culturale che riguarda molte aziende. Le scelte sono delicate e solo il 30% delle aziende familiari resiste fino alla terza generazione”.

Ci sono realtà che hanno abbracciato il cambiamento in maniera decisa?

“In Emilia-Romagna, Kerakoll, leader internazionale nell’edilizia sostenibile, ha dimensioni importanti, non è quotata e rimane chiaramente familiare, ma ha deciso di organizzarsi con un Cda composto anche da consiglieri esterni e ha un amministratore delegato. Nelle Marche, Elica si è quotata in Borsa ed è organizzata per affrontare anche situazioni avverse di mercato”.

Può fornire altri esempi?

“Sempre in Emilia-Romagna, Datalogic ha compiuto nel tempo una trasformazione significativa: è un’azienda quotata, con la presenza di Consiglieri Indipendenti e con un management esterno. Un altro esempio è Crif, non quotata ma in crescita costante grazie a un imprenditore illuminato. Anche Mutti ha avuto un ottimo percorso grazie anche al contributo di soci esterni”.

Quali sono i punti chiave da affrontare?

“Il primo punto è la successione generazionale: chi ha optato per un management esterno lo ha fatto perché probabilmente non aveva figure familiari pronte e ha deciso di esternalizzare per portare avanti l’azienda. Un altro aspetto è l’innovazione: è fondamentale portare in azienda persone con esperienze diverse, magari anche internazionali. Il terzo punto è la globalizzazione: molte aziende devono affrontare la concorrenza globale, un tema sempre più rilevante”.

Quali sono le criticità?

“Il problema principale è quello dei finanziamenti per gli investimenti. Alcune aziende crescono tramite l’indebitamento (con i rischi connessi), altre cercano il supporto di un private equity, che entra in azienda, apporta capitali ma cambia le regole del gioco. Un’altra opzione è quotarsi in Borsa, dove però l’azienda si deve assumere una serie di doveri e responsabilità verso il mercato e gli investitori. In ogni caso, se le aziende familiari vogliono competere sui mercati globali devono strutturarsi adeguatamente e questo processo richiede una pianificazione attenta per garantire che gli obiettivi di crescita e innovazione siano raggiunti senza compromettere i valori e la governance aziendale”.

 

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