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Il Medio Oriente è di fronte a un tornante. Decisivo o no, si scoprirà nelle prossime ore. Anche a Palazzo Chigi trattengono il fiato alla vigilia dei negoziati convocati oggi a Doha, in Qatar, per aprire una tregua fra Israele e Hamas. Sono giorni di apprensione. Che costringono la premier Giorgia Meloni a seguire da vicino la crisi mediorientale. Tenere alzata la cornetta da capo del governo e del G7 per dare il suo contributo alla tela che può rallentare l’escalation, scongiurare un conflitto regionale fra Israele e Iran. «Non possiamo permetterci il lusso di perdere l’opportunità offerta dal round negoziale previsto oggi per arrivare ad un cessate il fuoco sostenibile a Gaza», spiega al Messaggero la presidente del Consiglio.

LA LINEA A CHIGI

Soppesa le parole Meloni, che con i cronisti appostati in Puglia, dove trascorrerà qualche giorno di riposo con la famiglia al riparo dei riflettori, non spezza mai il silenzio-stampa. Dalla masseria rivestita di pietra bianca che la ospiterà per una settimana tuttavia la timoniera del governo tiene aperta una finestra sulla polveriera mediorientale. Non può fare altrimenti. Da un lato la guerra che non conosce pause nella Striscia e sparge sangue anche a Ferragosto: l’ultimo raid delle Forze di difesa israeliane (Idf) su una scuola ha fatto più di cento morti. Dall’altro la vendetta iraniana che incombe e l’attacco missilistico contro Tel Aviv minacciato dagli ayatollah.

Tutto si tiene nei colloqui a Doha preparati per oggi con la mediazione di Stati Uniti ed Egitto. «Un’occasione» da non sprecare, insiste Meloni. Perché il cessate-il-fuoco che i negoziati dovrebbero partorire sulla scia dell’accordo già abbozzato a maggio «al momento è l’unica soluzione che vedo io per evitare il serio rischio di una escalation della guerra a livello regionale». È la tesi che il governo italiano sta veicolando alla controparte iraniana in questi giorni: se si aprisse una strada per la tregua, il costo di un attacco missilistico su larga scala contro Israele diverrebbe insostenibile. L’escalation e un conflitto allargato all’intero quadrante mediorientale, uno scenario probabile. Attenzione, mette in chiaro la premier, il cessate il fuoco con Hamas deve essere «sostenibile». Sono parole soppesate, si diceva, perché Meloni è in contatto continuo con Benjamin Netanyahu e ha ben presente la versione israeliana dei fatti. E la convinzione a Gerusalemme che qualsiasi tregua dovrà includere un passo indietro di Hamas nella Striscia e la ricostituzione della deterrenza israeliana andata in frantumi con il massacro jihadista del 7 ottobre.

I RISCHI

Non facile, certo. Il forfait ai colloqui adombrato ancora ieri sera da Hamas non depone a favore di un esito felice. Intanto l’Italia tesse la tela diplomatica. Con crescente apprensione per gli sviluppi al confine con il Libano e il destino dei mille caschi blu italiani dell’Onu schierati lungo la Blue line e minacciati da Hebzollah. «Sono in contatto in questi giorni con gli altri leader occidentali e condividiamo l’urgenza di fare tutto il possibile per evitare un allargamento del conflitto in Medio Oriente. Ognuno di noi sta attivando ogni possibile canale diplomatico. Io personalmente ho sentito in questi giorni il Presidente iraniano Pezeshkian, il Re Hussein di Giordania e il Premier israeliano Netanyahu, veicolando messaggi di moderazione», spiega Meloni a questo giornale. Solo due giorni fa, le ha telefonato dallo Studio Ovale il presidente americano Joe Biden.

È un equilibrio precario, basta niente ad accendere la miccia. Ed è una precarietà che spezza la serenità delle ferie agostane della premier, obbliga a tenere sempre aperta la linea telefonica di Palazzo Chigi. Quali che siano gli esiti dei negoziati ospitati dai qatarini, restano due le priorità dell’agenda italiana. «La nostra principale preoccupazione rimane quella per la popolazione civile, che deve essere protetta, e per gli ostaggi, che devono essere liberati senza ulteriori indugi». Sono i paletti non negoziabili su cui poggia la mediazione di tutti i leader occidentali scesi in campo. Si saprà oggi quanto resteranno piantati a terra nei colloqui di Doha.

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