Da un lato Stellantis ricompra le proprie azioni, per oltre un miliardo, per blindare il controllo dei grandi azionisti, dall’altro inizia il piano di tagli di cui il ceo Carlos Tavares aveva lasciato intendere qualcosa, giorni addietro. E se non si tratta di quei brand “non redditizi” – salva per ora Maserati, dopo l’intervento di John Elkann, ancora a rischio Alfa Romeo, però – ecco che ci si concentra sulle risorse umane. E stavolta, i licenziamenti arrivano via email.
La procedura, in realtà, è molto simile a quella che ha portato a migliaia di esodi incentivati negli scorsi mesi. Dopo il piano “Progetta il tuo futuro” – con incentivi alle dimissioni anche a cinque zeri – ecco arrivare la comunicazione “Programma di separazione volontaria 2024”. Ma con una avvertenza: la mail spiega sì che l’intento di Stellantis è procedere su base volontaria, ma se le adesioni non saranno sufficienti – e non viene spiegato quale sia questo numero – si procederà a “iniziative involontarie”. Ossia licenziamenti.
Questa volta la situazione riguarda gli Stati Uniti, che nonostante un cospicuo finanziamento da centinaia di milioni di dollari per riaprire fabbriche chiuse dall’amministrazione Biden, sono la parte più in sofferenza dell’impero Stellantis. Dopo aver tagliato già 400 ingegneri a primavera, ora il Gruppo intende sfoltire qualcuno degli 11mila dipendenti, al di sotto del ruolo di vicepresidente, negli Usa. E a rischio ci sarebbero anche dipendenti Jeep e Ram non coperti dal contratto UAW (il sindacato dell’auto in America). L’offerta prevede una buonuscita, una copertura sanitaria forfettaria, i fondi pensione.
Un anticipo di quanto potrebbe accadere di nuovo anche in Italia? Perché Tavares ha in realtà annunciato assunzioni nel prossimo futuro, anche a Mirafiori, ma la necessità di far quadrare i conti, dopo le fortissime perdite nel corso della semestrale, sembrano spingere il ceo verso quella che è una sua specialità: tagliare.
Il tutto in un quadro di impegno del Gruppo per blindarsi, come si diceva all’inizio. Nei giorni scorsi, infatti, è partita la terza tranche del buyback da tre miliardi di euro, ossia il riacquisto di azioni proprie. Azioni che, una volta ricomprate, a un prezzo fino al 110% della quotazione di mercato (oggi effettivamente in discesa), saranno poi cancellate. In questo modo, i tre soci forti, ossia John Elkann tramite Exor, la famiglia Peugeot tramite Psa e lo Stato Francese tramite BFI, vedranno salire le proprie quote e, di conseguenza, i diritti di voto.
Già negli scorsi mesi, i tre soci avevano fatto valere la clausola che prevedeva un “premio” per chi avesse mantenuto le azioni per tre anni almeno, clausola sottoscritta i tempi della fusione Stellantis. Quindi, ora la ripartizione quote è questa: Exor dal 14,4% passa a 15,28%; Peugeot dal 7,2% al 7,62% e lo Stato dal 6,2% al 6,55%. E per effetto del “premio”, il diritto di voto, da poco più del 30% passa a oltre il 45%. Un controllo blindato, proprio nel momento in cui la discesa del titolo, fanno notare alcuni analisti, avrebbe reso il Gruppo se non scalabile certo abbordabile.
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