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La recente designazione della “Via Appia – Regina Viarum” come patrimonio mondiale dell’UNESCO rappresenta un importante riconoscimento per un patrimonio storico e culturale che ha influenzato profondamente la nostra civiltà.

Peccato che questa grande conquista, che parte da lontanissimo e si avvale della straordinaria sinergia tra Ministeri, Enti Locali e Associazioni, rischi di essere macchiata dal comportamento di coloro che cercano di prendersi il merito individuale del risultato, dimostrando di non aver compreso appieno la potenza dirompente del messaggio che arriva da questo significativo riconoscimento.

Addirittura mi è capitato di leggere di un europarlamentare che ringrazia un anonimo sindaco del barese ed attribuisce il successo al governo attuale, dimenticando (o ignorando) il lungo percorso di tutela e valorizzazione iniziato molti decenni fa.

A mio avviso è essenziale riconoscere che il vero merito per questo risultato non appartiene a un singolo individuo o a una singola amministrazione, ma è frutto di un lavoro comune ispirato e sospinto da un movimento collettivo iniziato già negli anni ’50.

Sin da allora, figure come Antonio Cederna hanno lottato per preservare la Via Appia dal traffico e dal turismo di massa.

Il movimento culturale ha fatto si che nel giugno 2006, ripeto Giugno 2006, la Via Appia venisse inserita nella lista propositiva dell’UNESCO, un passo fondamentale verso il riconoscimento ufficiale arrivato ieri.

L’impegno per la nomina della Regina Viarum a Patrimonio Mondiale dell’Umanità è continuato nel corso degli anni grazie alla spinta dei soggetti promotori dell’Appia Day, Legambiente, Touring Club e numerose associazioni, tra le quali il Club UNESCO ed altre rilevanti realtà locali, che hanno coinvolto comuni e ministeri in un processo partecipativo e condiviso. E gli enti, chi più, chi meno, sono stati sensibili e pronti a mettere in atti ed accompagnare le istanze del vasto movimento di opinione attivo da decenni.

Del tutto apprezzabile è, pertanto, la comunicazione seria e accurata fornita dall’Università del Salento, che ha posto l’accento su tre elementi:

– l’importanza del contributo di numerose istituzioni, enti locali, università, uffici del ministero ed associazioni;

– il processo complesso e partecipato, che ha avuto obiettivi chiari: rafforzare il senso di appartenenza comune, generare consapevolezza condivisa sulla responsabilità collettiva della tutela del bene e sulle opportunità di sviluppo offerte dal riconoscimento UNESCO, e configurare una governance adeguata che risponda alle aspettative dei tanti attori coinvolti.

– la scelta di porre sin dall’inizio la cultura e l’educazione al centro del progetto di candidatura della Via Appia, come dimostrato dalle molteplici attività promosse dal Ministero con il supporto del Comitato Tecnico-Scientifico: progetti didattici con le scuole, una storia a fumetti con Panini-Disney, un documentario prodotto con la RAI, campagne fotografiche e mostre organizzate dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e dall’Istituto Centrale per la Grafica.

Questa, a mio avviso, è la giusta chiave di lettura.

In un periodo complesso, in cui l’ignoranza della storia e delle tradizioni produce l’incapacità di leggere il futuro e genera paure, incertezze e disgregazione, una investitura come quella della Via Appia rappresenta un segnale potente.

Nominare a patrimonio dell’umanità non un singolo bene, bensì un percorso storico, una strada condivisa, un cammino lento, un’aggregazione di più territori e comunità, pone l’esigenza che la cultura, le tradizioni, il senso di appartenenza, l’identità e l’aggregazione siano considerati capisaldi dell’azione pubblica futura.

Tutto ciò è fantastico perché pone la cultura ed il patrimonio come fattori di aggregazione, spingendo ad abbandonare le solitudini e a ragionare in una logica di gruppo, di insieme.

Insomma, la nomina Unesco va nella direzione che molti auspicavano da tempo: la cultura e l’aggregazione vanno considerati fattori fondamentali per la costruzione del futuro delle comunità.

Tuttavia, il rischio è che la politica, presa dal rivendicare sterili ed inesistenti meriti e primogeniture, ed interessata al proprio orticello più che alla produzione di processi, non comprenda questa svolta epocale.

La speranza è la classe dirigente possa cogliere la reale importanza del riconoscimento e lavorare per valorizzare ulteriormente questo patrimonio collettivo, rispettando e onorando il lungo e arduo lavoro di tutti coloro che hanno contribuito a renderlo possibile.

Oreste Pinto

 

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