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La decontribuzione per chi dichiara meno di 15 mila euro cancella 45 miliardi 
di contributi pensionistici e altrettanti di tasse. Chi paga? Il solito 35% di cittadini che versa per tutti

«Non serve una manovra (legge di Bilancio) lacrime e sangue; occorre ridurre e mettere sotto controllo la spesa pubblica». Questo il pensiero di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e Finanze all’assemblea annuale dell’Abi, l’associazione delle banche italiane; quelli che lavorano e pagano le tasse sperano che sia così, soprattutto in vista del nuovo patto di stabilità che inizierà a «mordere» nel 2026, anno in cui si concluderà anche il ciclo di investimenti del Pnrr. Tuttavia, altre affermazioni dello stesso ministro, sembrano contraddire il pur condivisibile proposito come, ad esempio, la volontà di mantenere la decontribuzione pari al 7% per i lavoratori che dichiarano redditi fino a 15 mila euro e del 6% per quelli fino a 25 mila euro che nel complesso costa circa 14 miliardi l’anno, compreso il Sud.

Il tempo per gli aiuti

Se una manovra di questo tipo poteva avere un senso nell’anno dell’esplosione dell’inflazione per dare tempo ai contratti di lavoro di riallineare stipendi e salari ai prezzi, già aveva poco senso quest’anno soprattutto considerando che ai medesimi redditi tra Tir (trattamento integrativo del reddito) e nuove detrazioni, è stato concesso uno sgravio fiscale da 14,5 miliardi, figurarsi che senso può avere nel 2025. Risultato: l’Inps in 3 anni perderà oltre 45 miliardi di entrate contributive (altro che finanziaria leggera o riforma delle pensioni) e altri 45 li perde il fisco con l’esito infausto che il 53% della popolazione italiana versa il 6,31% di tutta l’Irpef e più o meno zero di tutte le altre imposte dirette; per la sola spesa sanitaria questa parte di popolazione costa allo Stato, quindi a tutti quelli che le tasse le pagano, circa 60 miliardi (dati Mef). Chi ce li mette?




















































La somma che (non) fa il totale

Sempre questa parte della popolazione costa altri 180 miliardi l’anno tra scuola servizi, assistenza e bonus vari; inoltre, se una famiglia che rientra in questo 53% di popolazione con l’Isee basso, ha due figli e un over 60 in casa, riceve dallo Stato 4.700 euro circa come Assegno unico e universale per i figli a carico (Auuf) più 6.900 come Assegno di inclusione, più 3.600 euro per contributo affitto. In totale circa 15 mila euro netti senza lavorare senza pagare né tasse né contributi e con tutti i servizi gratis: magari una pensione sociale, scuolabus, mensa scolastica e altro: basta fare un lavoretto in nero da 400/500 euro mese per ciascun coniuge e si arriva comodi a 2 mila euro netti mese. Perché lavorare in regola?

Il silenzio della politica

Quello che più preoccupa però è il silenzio della politica e anche del ministro sul controllo e monitoraggio della spesa, sull’aumento del costo dei sussidi e la loro efficacia nonché i riflessi della eccessiva spesa assistenziale su occupazione, evasione fiscale e sostenibilità del debito. Possibile che non si faccia una verifica sulla spirale perversa che intreccia alti sussidi, alta evasione, bassa occupazione e bassi salari? Eppure, non dovrebbe essere complicato visto che il governo Draghi ha approvato la realizzazione della banca dati dell’assistenza (restiamo uno dei pochi Paesi a non avere il monitoraggio di questa spesa). 

La spesa per assistenza al galoppo

La prima verifica riguarda il galoppo della spesa assistenziale: se nel 2008 spendevamo per il sostegno ai redditi e per debellare la povertà 73 miliardi e oggi ne spendiamo 160, ci si dovrà pur chiedere quali risultati ha conseguito un più che raddoppio della spesa. Invece questo governo (come i precedenti) non se lo chiede e continua a proporre bonus e nuovi sussidi caricandone il peso sui pensionati che hanno sempre pagato i contributi e ai quali il ministro ha fatto perdere in due anni oltre il 10% di potere d’acquisto. È facile fare i buoni con i soldi degli altri; speriamo che lacrime e sangue non vengano caricate anche quest’anno sulle spalle di quel 35% di popolazione che paga oltre il 92% di tutte le tasse.

Risultati deludenti

Ma quali risultati ha prodotto questa enorme spesa? Disastrosi su tutta la linea: i poveri assoluti, secondo i dati Istat, sono passati da 937 famiglie con 2,1 milioni di persone a 2,187 milioni di famiglie con 5,7 milioni di persone e con un aumento del 40% delle famiglie in povertà relativa (quelli che faticano a arrivare a fine mese). Ma questa è solo una parte della spesa perché ad oggi lo Stato non sa quanto un cittadino riceve da comuni, province, regioni, comunità montane, Asl, né quanti bonus o Auuf incassa perché, per questa spesa fuori controllo che cresce a un tasso doppio rispetto a quella pensionistica, manca la citata banca dati che carichi tutti i sussidi per codice fiscale. Ciò nonostante, gli sconti fiscali e contributivi rigorosamente in base all’Isee aumentano (ci mancava il bonus mamma e l’aumento dell’Auuf anch’essi legati all’Isee). Insomma, il motto dei governi di questi ultimi 14 anni è meno dichiari più soldi e sconti ti dò; più dichiari (vedasi il caso dei malcapitati pensionati) e più ti tartasso. E i riflessi di questo perverso «incentivo di Stato» si vedono sul livello di evasione fiscale e contributiva di cui siamo di gran lunga i primi nelle classifiche Ocse e Eurostat. Ma si vedono anche sull’occupazione dove siamo ultimi per tasso totale, femminile e giovanile, preceduti da Malta, Cipro, Romania, Bulgaria e lo scorso anno anche dalla Grecia. 

La piaga dei Neet

In compenso, grazie ai bonus, siamo di gran lunga i primi per numero e percentuale di Neet, per beneficiari di Naspi (gli anni sabbatici di molti giovani e non) e di sostegni al reddito mascherati da fondi esubero, prepensionamenti, Isopensione ecc. Sarà dura con un debito pubblico che sfiorerà i 3 mila miliardi a breve e i 90 miliardi di interessi sul debito (4,3% circa del Pil) onorare il nuovo patto di stabilità e crescita, mantenere questa enorme spesa, la decontribuzione e gli sconti fiscali e nel contempo fare una piccola legge di bilancio; occorrerebbe ridurre l’assistenza, l’Isee e si vedrebbe un aumento dell’occupazione e una riduzione di evasione fiscale e povertà. Forse sarebbe meglio dirla questa verità agli italiani ma per farlo ci vuole «il coraggio e se uno non ce l’ha (il don Abbondio del Manzoni) mica se lo può dare».
*Presidente Centro Studi di Itinerari previdenziali

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