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Lo studio approfondisce le garanzie accordate ai privati incisi dall’esercizio dei poteri speciali del Governo (golden power). Il contributo esamina, nella prima parte, la questione del sindacato giurisdizionale: nello specifico, prendendo spunto dalle pronunce intervenute nel recente periodo, si evidenzia come il giudice amministrativo si limiti ad un controllo estrinseco della motivazione. Nella seconda parte, l’indagine si focalizza sulle misure di sostegno pubblico dirette alle imprese che subiscono gli effetti dell’intervento autoritativo dell’esecutivo: in modo particolare, si rileva come tali contributi pubblici possano essere insufficienti a porre rimedio al danno patito. Infine, lo scritto riflette sull’istituto dei poteri speciali nell’ambito del complesso rapporto tra Stato e mercato.  

Sommario: 1. Premessa: le ragioni di un’indagine; 2. La natura giuridica degli atti di esercizio dei poteri speciali; 3. Il sindacato del giudice amministrativo; 4. Le misure di sostegno; 5. Considerazioni conclusive.

 

  1. Premessa: le ragioni di un’indagine

 

Il rapporto fra Stato e mercato è in forte tensione negli ultimi tempi. I grandi cambiamenti dovuti agli eventi della fine del secolo scorso hanno imposto un ripensamento del ruolo dello Stato nell’economia: l’interventismo statale, che aveva caratterizzato la prima fase dell’Italia repubblicana, ha ceduto il passo ad un modello diverso, orientato al controllo e alla regolazione. Utilizzando la terminologia più ricorrente, si passa dallo Stato imprenditore, che interviene direttamente nell’economia, allo Stato regolatore, che funge da arbitro del mercato. Sul punto, un’autorevolissima dottrina sostiene che la formula semplificatrice che vede meno Stato e più mercato sia scorretta: infatti, “la diminuzione del ruolo di guida dei poteri pubblici è ampiamente bilanciata dal loro ruolo di controllori e regolatori”[1].

Tuttavia, negli ultimi anni, il modello dello Stato regolatore sembra essere in declino, mostrando la sua inadeguatezza di fronte alle sfide del nuovo millennio: le recenti crisi del panorama nazionale e internazionale segnano, infatti, un ritorno in auge dei pubblici poteri. Ne è dimostrazione anche il mutato approccio dell’Unione europea, tendenzialmente refrattaria all’ingerenza nel mercato: si è, infatti, passati dall’austerity in risposta alla crisi bancaria del 2008, alle misure di sostegno del N.G.E.U. come reazione alla pandemia del 2020.

Nel solco del maggior interventismo statale si inserisce l’istituto dei poteri speciali del Governo (cd. golden power)[2], che si sostanzia in un meccanismo di controllo che consente all’esecutivo di esercitare determinate prerogative nei confronti delle imprese che svolgono attività o detengono assets di rilevanza strategica, nel caso in cui una determinata operazione o un certo investimento possano generare un pregiudizio agli interessi pubblici tutelati dalla normativa. Nonostante la genesi travagliata[3], l’esercizio dei poteri speciali ha saputo conquistarsi un posto di rango primario nell’ambito degli istituti che regolano l’intervento pubblico nell’economia: da questo punto di vista, infatti, il golden power è passato dall’essere uno strumento di nicchia al diventare uno strumento di grande rilievo, anche mediatico[4]. Ciò è ascrivibile anche alle recenti crisi nazionali ed internazionali, che hanno portato il legislatore ad estenderne l’ambito di applicazione: sull’ampliamento dei poteri speciali, la dottrina ha utilizzato l’espressione di “febbre dorata”[5] o di “irresistibile ascesa”[6]. D’altra parte, però, il fenomeno ha assunto oramai una portata globale: infatti, se nel 2009 meno di due terzi dei paesi membri dell’OCSE disponeva di un simile meccanismo; attualmente circa il 90% dei paesi in questione dispone di meccanismi di controllo degli investimenti[7]. In questo contesto, anche l’Unione europea, tendenzialmente refrattaria a meccanismi di ingerenza nel mercato, si è dotata di un proprio meccanismo di controllo, con l’adozione del Regolamento UE/2019/452, sugli investimenti esteri diretti. Tale atto legislativo costituisce non solo un’importante tappa del processo di integrazione europeo, ma rappresenta anche uno dei primi tentativi di affermazione di una sovranità europea capace di bilanciare le esigenze di tutela della sicurezza con quelle degli operatori economici.

In virtù di tale espansione, il golden power si pone come paradigma per indagare non solo gli strumenti di intervento pubblico nell’economia, ma anche per porre l’attenzione su diversi profili, che riguardano il più ampio e complesso rapporto tra autorità e libertà. Il principale nodo dell’istituto concerne, la ricerca di un punto di equilibrio tra gli interessi pubblici legati alla difesa e sicurezza nazionale e quelli privati legati alla conduzione delle attività economiche[8]. Anzi, la questione si pone in misura ancora maggiore, dal momento che i poteri speciali possono caratterizzarsi per una certa invasività nei confronti degli operatori privati. Innanzi a un potere così penetrante, appare necessaria l’individuazione dei limiti.

Ebbene, il contributo vuole esaminare i meccanismi di tutela dei privati incisi dai provvedimenti di esercizio dei poteri speciali. In particolare, l’analisi si focalizza, in primo luogo, sulla tutela processuale: nello specifico, si proverà a comprendere se l’intervento del giudice amministrativo sia in grado di soddisfare le aspettative di tutela degli interessi legittimi dedotti in giudizio dai privati. In secondo luogo, l’indagine si sposta sulle misure di sostegno pubblico a favore delle imprese lese dai provvedimenti di esercizio del golden power: anche in questo caso, si cercherà di capire se queste siano in grado di ristorare, in qualche misura, il pregiudizio subito dagli operatori economici. 

 

  1. La natura giuridica degli atti di esercizio dei poteri speciali

 

Le prospettive di tutela processuale dei privati sono legate all’intensità del controllo giurisdizionale. Tale questione non può, però, prescindere dall’indagine sulla natura giuridica degli atti di esercizio dei poteri speciali. Dall’analisi della disciplina normativa, contenuta nel d.l. 21/2012, sembra agevole dedurre l’adesione dei provvedimenti che costituiscono espressione del golden power allo statuto dell’atto amministrativo: infatti, l’esercizio del potere amministrativo in forma procedimentalizzata, nonché la previsione del sindacato del giudice amministrativo sugli atti di esercizio dei poteri speciali lasciano propendere per questo tipo di conclusione. Tuttavia, la questione non è così semplice, al punto che il golden power sembra porsi al limite tra l’atto amministrativo e quello politico: d’altronde, la decisione di esercizio viene affidata al principale organo di indirizzo politico, il Consiglio dei ministri. Oltre a ciò, si consideri che in alcuni Paesi, quali gli Stati Uniti d’America, le decisioni di esercizio del golden power costituiscono atti politici e, in quanto tali, sono sottratti ad un qualunque tipo di sindacato.

Dato il posizionamento ambiguo, è opportuno premettere un’analisi della categoria dell’atto politico[9]. Innanzitutto, la principale differenza che intercorre con l’atto amministrativo concerne il regime dell’impugnabilità: in tal senso, l’art. 7, comma 1, c.p.a. sancisce l’impossibilità di effettuare il sindacato giurisdizionale sugli atti di esercizio del potere politico[10]. In maniera diversa, invece, si atteggia il regime dell’atto amministrativo, sottoposto al sindacato giurisdizionale. La diversità circa il regime di impugnazione ha portato la giurisprudenza amministrativa ad interpretare estensivamente la nozione di atto amministrativo, restringendo quasi del tutto quella di atto politico, al fine di evitare vuoti di tutela. Secondo l’impostazione pretoria prevalente, l’atto avrebbe natura politica in presenza di un doppio requisito: da un punto di vista soggettivo, occorre che si tratti di un atto che promana da un organo preposto all’indirizzo politico-amministrativo, quale il Governo; da un punto di vista oggettivo, è necessario che “l’atto sia libero nel fine e riguardi la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri”[11]. Inoltre, in alcune pronunce, la giurisprudenza ha indicato la sussistenza di un requisito ulteriore: il riferimento è alla necessità di verificare l’insussistenza di una norma che segni i confini o comunque indirizzi l’esercizio del potere pubblico, ossia di una norma espressione del principio di legalità inteso in senso sostanziale[12].

Una volta esaminato lo statuto dell’atto politico, così come individuato dalla giurisprudenza, è possibile verificare, alla luce dei requisiti che lo caratterizzano, se l’esercizio dei poteri speciali sia, in qualche modo, riconducibile alla categoria. Dall’analisi della disciplina emerge chiaramente la risposta: infatti, mentre il requisito soggettivo viene soddisfatto, dal momento che l’esercizio del golden power è di competenza del Consiglio dei ministri, il requisito oggettivo non sembra essere affatto integrato. Infatti, dalla normativa in materia di esercizio dei poteri speciali, si evince come non si tratti di un’attività libera nella scelta dei fini, dal momento che questi sono individuati dalla legge nella salvaguardia degli interessi strategici dello Stato. Del resto, l’atto legislativo non si occupa di individuare soltanto le finalità sottese al potere pubblico, ma ne disciplina anche l’esercizio attraverso la previsione di un procedimento amministrativo che presenta alcuni degli elementi caratteristici delineati dalla l. 241/1990: il riferimento è al termine di conclusione del procedimento, alle diverse ipotesi di sospensione per esigenze istruttorie, nonché alla previsione del meccanismo del silenzio-assenso in caso di superamento del termine di conclusione. Peraltro, i recenti interventi normativi operati dal d.l. 21/2022 (d.l. Ucraina), hanno introdotto misure di semplificazione amministrativa, quali la pre-notifica[13] e la definizione anticipata in sede amministrativa, escludendo il coinvolgimento del Consiglio dei ministri[14]. Un ulteriore elemento è rappresentato dalla possibilità di scindere il procedimento in ulteriori fasi: si pensi a quella relativa alla cooperazione amministrativa prevista dal regolamento UE/452/2019 tra Commissione e Stati membri, o a quella sanzionatoria che si innesca in caso di violazione degli obblighi previsti per la notifica o per le prescrizioni.

L’applicazione degli istituti che caratterizzano il procedimento amministrativo sembrerebbe fondare l’idea che il golden power abbia natura amministrativa e non politica. La soluzione che propende per la natura amministrativa del potere esercitato viene sostenuta dalla dottrina, che ha parlato di atti amministrativi connotati da un alto tasso di politicità[15], ma soprattutto dalla giurisprudenza[16], che qualifica l’atto di esercizio del golden power come atto di alta amministrazione. Secondo l’impostazione giurisprudenziale, gli atti di alta amministrazione si configurano come una particolare categoria di atti amministrativi, la cui peculiarità risiede nella funzione di raccordo[17] tra l’indirizzo politico e l’attività amministrativa in senso stretto[18]: la loro posizione, quindi, è intermedia tra gli atti di scelta dei fini da perseguire, ossia gli atti politici, e gli atti con i quali si attuano tali scelte, vale a dire gli atti amministrativi in senso stretto[19]. In relazione al golden power, in particolare, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza amministrativa[20], hanno ritenuto che il decreto presidenziale di esercizio dei poteri speciali possa essere ascritto agli atti di alta amministrazione. Anzi, sulla questione, la dottrina ha evidenziato come il golden power porti alla massima espansione il concetto di alta amministrazione, che non trova analoghi precedenti nell’ambito del diritto amministrativo[21].

 

  1. Il sindacato del giudice amministrativo

 

L’inquadramento degli atti di esercizio dei poteri speciali nella categoria degli atti di alta amministrazione apre alla tematica del loro sindacato giurisdizionale. Sul punto, la giurisprudenza ha sostenuto che il sindacato si effettua “nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità delle decisioni assunte”[22]. Dunque, la magistratura è legittimata esclusivamente alla verifica della sussistenza dei presupposti formali e procedurali dell’esercizio del potere, nonché all’analisi della logicità e della ragionevolezza della motivazione rispetto al provvedimento adottato.

In realtà, esaminando le pronunce del giudice amministrativo, si nota come emerge come il criterio della manifesta illogicità renda il sindacato giurisdizionale “privo di mordente”[23]: ciò in quanto la decisione di controllo costituirebbe un atto di “altissima amministrazione”[24], caratterizzato da una discrezionalità così ampia da escludere un esame pieno da parte del giudice. Ciò dipenderebbe dall’importanza degli interessi pubblici tutelati: infatti, la ponderazione, nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale, si attua tra gli interessi strategici nazionali e quelli privati legati alla libera iniziativa economica. La prevalenza dell’interesse pubblico viene avvalorata dalle disposizioni che regolano il procedimento amministrativo: infatti, se questo è il terreno della composizione degli interessi, allora è evidente che, se le prerogative procedimentali garantite al privato sono consistenti, anche l’eventuale sindacato del giudice amministrativo risulterà rafforzato. In riferimento a ciò, in dottrina si evidenzia come le garanzie procedimentali dei privati siano inferiori rispetto a quelle che caratterizzano il generale procedimento amministrativo delineato dalla l. 241/1990. In tal senso, si consideri l’assenza del contraddittorio innanzi al Consiglio dei ministri[25]: sul punto, occorre precisare che la giurisprudenza amministrativa ha sostenuto che, in sede di Consiglio dei ministri, non sia esperibile il contraddittorio procedimentale, in quanto “l’ampiezza, la delicatezza e la politicità sostanziale delle valutazioni di cui è investito il Consiglio non si prestano alla discussione pari a pari con i soggetti interessati”[26]. Gli apporti partecipativi, quindi, sono ammessi solo nella fase istruttoria, ma non anche non nella fase decisoria, dove viene in rilievo l’esercizio del potere; proprio perché è nella sede del Consiglio dei ministri che vengono eserciti i poteri speciali, sarebbe più opportuno prevedere la partecipazione del privato.

Le lacune partecipative non sono le uniche a rilevare: infatti, il profilo maggiormente problematico, concerne l’effettivo rispetto dell’obbligo di motivazione. In questo senso, sebbene le decisioni di esercizio del potere non si sottraggano all’obbligo di cui all’art. 3 della l. 241/1990, quest’ultimo risulta depotenziato, dal momento che il Consiglio dei ministri può discostarsi dallo schema di provvedimento ministeriale, adottato al termine della fase istruttoria, senza motivarne espressamente le ragioni. Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa[27] ha sostenuto la tesi del parere non vincolante: di conseguenza, la decisione del Governo e, quindi, anche il decreto presidenziale, non sono vincolati al contenuto dello schema di provvedimento adottato all’esito dell’istruttoria. Ancora, la giurisprudenza si spinge oltre: infatti, non solo ritiene che il parere del ministro competente, frutto della complessa attività istruttoria posta in essere, non sia vincolante, ma che l’eventuale deliberazione contraria non debba essere supportata da alcun onere motivazionale rafforzato. Tale circostanza viene argomentata in base all’autonomia di valutazione che compete al livello politico[28]. Pertanto, le risultanze istruttorie non servirebbero ad orientare la conclusione del procedimento, ma solamente a fornire dati conoscitivi: in relazione a ciò, autorevole dottrina ha rilevato come la regola pretoria segni una cesura atipica tra la fase istruttoria e la fase decisoria[29]. Inoltre, si segnala come l’indirizzo giurisprudenziale si ponga in contrasto con l’art. 6 della l. 241/1990, in cui si prevede che, nel caso in cui l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale sia diverso dal responsabile del procedimento, non ci si possa discostare dalle risultanze dell’istruttoria se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale: pertanto, il Consiglio dei Ministri non potrebbe disattendere gli esiti dell’istruttoria condotta dal Gruppo di Coordinamento, se non fornendo una motivazione rafforzata che ne giustifichi la non osservanza.

Da un altro punto di vista, si sostiene che il Consiglio dei ministri possa discostarsi dalle determinazioni istruttorie senza motivarne le ragioni in quanto la decisione finale costituisce un atto di alta amministrazione, motivo per cui sarebbe sufficiente anche un apporto motivazionale approssimativo[30]. Tale ricostruzione sarebbe avallata dal Consiglio di Stato[31], che attribuisce al procedimento di esercizio dei poteri speciali una natura bifasica, per cui il momento istruttorio e quello decisionale risultano separati.

In realtà, sulla questione occorre una riflessione di duplice ordine, che si ponga in un’ottica sistematica verso gli istituti che regolano l’esercizio del potere amministrativo. Innanzitutto, si segnala come, nell’ambito del procedimento amministrativo, la fase istruttoria sia teleologicamente orientata alla fase decisoria e che, specie nei procedimenti connotati da un alto tasso di discrezionalità, sia necessaria per costruire una motivazione che sorregga in modo appropriato il provvedimento finale, anche per consentire un adeguato sindacato giurisdizionale; infatti, la motivazione è l’essenza stessa del corretto esercizio del potere amministrativo, in quanto rende intelligibile l’iter logico-argomentativo seguito nell’assumere una decisione discrezionale, dando contezza dei motivi per cui si è scelta una soluzione piuttosto che un’altra. Da queste considerazioni, si ricava come l’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo non possa prescindere in maniera così netta dal rispetto delle risultanze istruttorie, se non in termini di adesione, quantomeno in termini di un motivato discostamento.

Il depotenziamento della motivazione[32] porta a ritenere che il giudice amministrativo tratti il provvedimento di esercizio dei poteri speciali alla stregua di un atto politico, nonostante affermi che esso costituisca, invece, un atto di alta amministrazione: infatti, la circostanza che si possa divergere in maniera così netta dalle risultanze istruttorie non ha eguali nel diritto amministrativo, motivo per cui il Governo “si muove in un ambito di sostanziale libertà finalistica”[33]. D’altro canto, la previsione che eventualmente richieda di dar conto dei motivi che hanno portato il Consiglio dei ministri a disattendere la proposta del Gruppo di Coordinamento non precluderebbe affatto alla possibilità di effettuare una scelta diversa, anche di segno opposto[34]. Una simile prospettiva, tra l’altro, costituirebbe un vincolo all’ampia discrezionalità della decisione governativa, consentendo un controllo più esteso da parte del giudice amministrativo.

Sul punto, un’attenta dottrina definisce la tutela giurisdizionale sugli atti di esercizio del golden power come “quasi impossibile”: infatti, data la genericità della normativa[35], il giudice amministrativo “ha armi spuntate”[36] e, di conseguenza, la decisione diviene sostanzialmente insindacabile. Tale preoccupazione diventa ancora maggiore se si considera la capacità del golden power di influire in maniera rilevante sui meccanismi del mercato: il rischio, infatti, è che lo strumento di controllo finisca “per divenire, più o meno direttamente, all’interno di una crescente tendenza alla de-globalizzazione, uno strumento statuale dirigistico”[37].

 

  1. Le misure di sostegno

 

Il ricorso al giudice amministrativo non costituisce l’unica soluzione per gli operatori economici incisi dall’intervento autoritativo del Governo. Dall’analisi della disciplina normativa si evince come l’istituto sia capace di incidere sulle posizioni giuridiche soggettive tanto dell’impresa acquirente quanto dell’impresa strategica. Proprio questa caratteristica rivela un diverso aspetto dello strumento del golden power, estraneo alla sua logica inziale: infatti, l’istituto si caratterizza non solo come sistema di protezione degli interessi strategici nazionali, ma indirettamente come strumento di difesa della società target. Tuttavia, secondo un diverso punto di vista, può accadere che l’interesse alla salvaguardia degli assets strategici non converga con quello dell’operatore economico privato, che potrebbe essere interessato ad alienare, valorizzando la propria partecipazione sociale.

Proprio in una prospettiva di ristoro si pone il d.l. 187/2022, che all’art. 2 prevede come, successivamente all’esercizio dei poteri speciali, l’impresa che abbia ottemperato all’obbligo di notifica possa, a seguito della presentazione di apposita istanza, accedere a misure di sostegno della capitalizzazione dell’impresa, idonee a consentirne un rafforzamento patrimoniale, nonché a salvaguardare i livelli occupazionali e a garantire la prosecuzione dell’attività. Inoltre, la norma dispone che il Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT), di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), può far valutare con priorità l’accesso alle risorse del Patrimonio Destinato di cui all’art. 27, comma 1, del d.l. 34/2020, ossia all’intervento di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) a sostegno e rilancio dell’impresa. Infine, si prevede che, trascorsi due anni dall’esercizio dei poteri speciali, l’impresa abbia la possibilità di presentare istanza per l’accesso prioritario agli strumenti dei contratti di sviluppo e degli accordi per l’innovazione.

Si tratta evidentemente di una normativa di carattere premiale, che favorisce le sole imprese che hanno adempiuto all’obbligo di notifica; di conseguenza, la disciplina non si applica nel caso in cui il procedimento di esercizio dei poteri speciali sia stato avviato d’ufficio.

I meccanismi di sostegno pubblico assumono un’importante rilevanza sistematica, ponendosi come norma di chiusura del sistema dei poteri speciali del Governo, realizzando il bilanciamento tra l’interesse pubblico e gli interessi privati[38]. In realtà, l’intenzione è di applicare il criterio del bastone e della carota: si riduce l’autonomia negoziale dell’impresa, compensandola con misure di sostegno economico. D’altra parte, però, si rileva il possibile rischio anticoncorrenziale che il sussidio pubblico potrebbe comportare[39].

In riferimento alla migliore forma di ristoro da accordare al privato, parte della dottrina propone l’acquisto in via di prelazione da parte dello Stato. La tesi viene argomentata prendendo spunto da una fattispecie simile: il riferimento è all’acquisto in via di prelazione, da parte della pubblica amministrazione, di beni culturali alienati a terzi, ma sui quali è presente un vincolo di carattere pubblico[40]. La soluzione prevista dall’art. 60 del d.lgs. 42/2004 appare sicuramente maggiormente rispettosa dei diritti del proprietario, nonché del dettato costituzionale: infatti, la disposizione consente di soddisfare sia l’interesse pubblico che le ragioni del privato. Un analogo espediente, tuttavia, non sembra percorribile nel caso dell’esercizio del potere di veto e, quindi, del divieto di alienazione di una partecipazione sociale: infatti, la previsione di un eventuale diritto di prelazione renderebbe il Governo titolare di una partecipazione sociale, analogamente a quanto avveniva con la golden share.

In un’ottica de iure condendo, tuttavia, è possibile intraprendere una diversa soluzione. Com’è noto, il diritto di alienazione costituisce una parte del contenuto del diritto di proprietà, così come disciplinato dall’art. 832 c.c.: di conseguenza, a seguito dell’esercizio del potere di veto, la società strategica avrebbe diritto ad una forma di indennizzo, in conformità all’art. 42 comma 3 Cost. Per quanto concerne la determinazione del quantum, sembra opportuno rapportarla, in qualche modo, al valore della partecipazione oggetto dell’alienazione vietata dal Governo. 

 

 

  1. Conclusioni: il golden power tra Stato e mercato

 

Una volta esaurito il tema delle garanzie, l’indagine sui poteri speciali del Governo impone una riflessione più ampia sulla relazione tra Stato e mercato[41]. Da questo punto di vista, infatti, l’istituto si pone nel solco di un ritrovato protagonismo pubblico, nazionale ed europeo: sul punto, la dottrina ha coniato i termini di Stato “stratega”[42], Stato “supervisore”[43], Stato “protettore”[44] di Stato “doganiere”[45]. In realtà, al di là della terminologia utilizzata, è necessaria una riflessione di sistema, sul ruolo del golden power nel rapporto con il fenomeno economico: allo stato attuale, infatti, molti investimenti non possono essere realizzati in assenza di una preventiva notifica e, in ultima analisi, senza l’assenso del Governo. Ciò comporta il potenziale rischio di trasformare l’istituto in uno strumento di politica industriale[46]: tale evenienza, tra l’altro, risulterebbe in contrasto sia con le esigenze di protezione degli interessi strategici nazionali sottese alla normativa, che con i principi posti dai Trattati europei a tutela del mercato unico[47]. In pratica, il meccanismo di controllo non può diventare una misura protezionistica che falsa la concorrenza e disincentiva gli investimenti proprio in un periodo storico in cui essi sono essenziali per la tenuta del tessuto economico nazionale ed europeo.

Nonostante la fondatezza di queste considerazioni, la tentazione dirigistica rimane, allo stato attuale, soltanto teorica: infatti, dal punto di vista della prassi applicativa, lo strumento dei poteri speciali sembra rispettare la cornice costituzionale ed europea che ne presidia l’esercizio.[48]. D’altronde, di fronte a rischi al momento considerati esclusivamente sul piano astratto, lo strumento dei poteri speciali costituisce un inevitabile baluardo a difesa degli interessi fondamentali della collettività. Lo scopo cardine dell’istituto resta, infatti, quello di protezione degli interessi strategici dello Stato: pertanto, il golden power risulta essenziale, specialmente in considerazione del quadro internazionale sempre più complesso ed in continua evoluzione.

[1] Sul punto, cfr. S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, in S. CASSESE (a cura di), La nuova costituzione economica, Bari, 2021, p. 395.

[2] La tematica del golden power costituisce oggetto di un’amplissima riflessione dottrinale. Senza alcuna pretesa di esaustività, si segnala: B.P. AMICARELLI, Il golden power fra istruttoria viziata e principio di legalità, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2021, p. 646 ss.; B. ARGIOLAS, Il golden power tra Stato e mercato, in Gior. Dir. amm., n. 6, 2022, p. 721 ss.; L. BELVISO, Golden power. Profili di diritto amministrativo, Torino, 2023; R. CHIEPPA, La nuova disciplina del golden power dopo le modifiche del d.l.  21/2022 e della legge di conversione 51/2022, in Federalismi.it, n. 16, 2022; R. CHIEPPA, C.D. PIRO, R. TUCCILLO (a cura di), Golden power, Milano, 2023; S. DE NITTO, Il Golden power nei settori rilevanti della difesa e della sicurezza nazionale: alla ricerca di un delicato equilibrio, in Dir. amm., n. 2, 2022, p. 553 ss.; L. FIORENTINO, Verso una cultura del golden power, in Quaderno del Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica – Golden power, 2021, p. 20 ss.; D. GALLO, La questione della compatibilità dei golden powers in Italia, oggi, con il diritto dell’Unione europea: il caso delle banche, in Riv. regol. merc., n. 1, 2021, p. 26 ss.; R. GAROFOLI, Golden power: mercato e protezione degli interessi nazionali, in Federalismi.it, n. 17, 2019; A. GEMMI, La golden power come potere amministrativo. Primi spunti per uno studio sui poteri speciali e sul loro rafforzamento, in P.A. Pers. e Amm., n. 1, 2020, p. 381 ss.; D. IELO, Riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti “golden powers”, in Rivista Interdisciplinare Sul Diritto Delle Amministrazioni Pubbliche, n. 4, 2021, p. 59 ss.; A. ILACQUA, L’ascesa dei golden powers. Dallo Stato imprenditore allo Stato protettore, in Il diritto dell’economia, n. 1, 2023, p. 429 ss.; C. S. LUCARELLI, L’esercizio dei golden powers: criticità attuali e prospettive future, in Giur. Comm., n. 6, 2023, p. 1011 ss.; L. MASOTTO, Il golden power alla prova del procedimento e del processo amministrativo, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2022, p. 662 ss.; G. NAPOLITANO, L’irresistibile ascesa del golden power e la rinascita dello Stato doganiere, in Gior. Dir. amm., n. 1, 2019, p. 549 ss.; G. NAPOLITANO (a cura di), Foreign Direct Investment screeningIl controllo sugli investimenti esteri diretti, Bologna, 2020; A. PACCIONE, Il golden power e il principio di legalità, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2022, p. 655 ss.; A. SANDULLI, La febbre del golden power, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3, 2022, p. 743 ss.; A. SANDULLI, Esercizio dei poteri speciali e sorte dell’impresa strategica, in Giorn. dir. amm., n. 4, 2023, p. 463; G. SCARCHILLO – A. IMPERIA, Golden powers: una terza via per l’intervento pubblico in mercati internazionali strategici, in Dir. comm. int., n. 3, 2023, p. 591 ss.; R. SPAGNUOLO VIGORITA, Golden power: per un nuovo paradigma di intervento dello Stato nell’economia, in Rivista Interdisciplinare sul Diritto Delle Amministrazioni Pubbliche, n. 4, 2021, p. 112 ss.

[3] Con il d.l. 332/1994, l’Italia si è dotata, per la prima volta, di un meccanismo di controllo degli assets strategici. In base a tale normativa, gli statuti delle società controllate dallo Stato, che operassero in determinati settori e che fossero individuate con decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri, dovevano prevedere clausole attributive di poteri speciali all’allora Ministro del Tesoro (cd. golden share). Nello specifico, il ministero poteva: a) manifestare il proprio gradimento in riferimento all’acquisto di partecipazioni rilevanti, pari o superiori al cinque per cento; b) opporsi ad accordi o patti parasociali rappresentativi di partecipazioni pari o superiori al cinque per cento; c) porre il veto in relazione all’adozione di delibere relative a operazioni particolarmente rilevanti, come la fusione, la scissione o il cambiamento dell’oggetto sociale; d) nominare un amministratore senza diritto di voto.

La disciplina in materia di golden share, nonostante le diverse modifiche intervenute nel tempo, è stata ritenuta incompatibile con il diritto europeo. I profili di criticità evidenzianti dalle istituzioni europee hanno riguardato, in particolare: la genericità dei presupposti di esercizio, l’eccessiva discrezionalità nell’esercizio dei poteri attribuiti all’esecutivo, l’assenza di proporzionalità dello strumento che, anche a fronte di partecipazioni azionarie minoritarie, consentiva al socio pubblico di esercitare penetranti poteri di veto o di gradimento.

[4] Cfr. R. CHIEPPA, Considerazioni conclusive, in R. CHIEPPA, C.D. PIRO, R. TUCCILLO (a cura di), Golden power, Milano, 2023, p. 415.

[5] L’espressione è di A. SANDULLI, La febbre del golden power, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3, 2022, p. 743 ss.

[6] Cit. G. NAPOLITANO, L’irresistibile ascesa del golden power e la rinascita dello Stato doganiere, in Gior. Dir. amm., n. 1, 2019, p. 549 ss.

[7] Lo rileva B. ARGIOLAS, Il golden power tra Stato e mercato, in Gior. dir. amm., n. 6, 2022, p. 723.

[8] Cfr. M. MACCHIA, Il Governo in bikini, Milano, 2024, p. 253.

[9] Tra i tanti, si consideri l’importante contributo di V. CERULLI IRELLI, Politica e amministrazione tra atti “politici” e atti “di alta amministrazione”, in Dir. pubbl., n. 1, 2009, p. 101 ss. Più recentemente, si veda V. GIOMI, L’atto politico nella prospettiva del giudice amministrativo: riflessioni su vecchi limiti e auspici di nuove aperture al sindacato sul pubblico potere, in Dir. Proc. Amm., n. 1, p. 21 ss.

[10] Secondo la nota sentenza del Cons. St., sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502, sono atti tipicamente politici: la legge e gli atti aventi forza di legge; la nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionali; gli atti di concessione di grazia e di commutazione delle pene; le pronunce della Corte costituzionale; l’elezione del Presidente della repubblica; lo scioglimento delle camere; la nomina dei ministri; la presentazione di disegni di legge; la firma dei trattati; la mozione di fiducia e di sfiducia delle Camere al Governo.

[11] Cit. Cons. St., sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3550; sulla stessa scia, cfr. T.a.r. Lazio, sez. I, 20 dicembre 2022, n. 17159.

[12] Cfr. Cons. St., sez. I, 19 settembre 2019, n. 2483. Più recentemente, si veda Cass. S.U., 26 settembre 2023, n. 27177, secondo cui “la chiave di volta ai fini del giudizio di insindacabilità di un atto del potere pubblico è costituita, in generale, dalla mancanza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione (…). Ciò significa che, in assenza di un parametro giuridico alla politica, il sindacato deve arrestarsi: per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza. Lo preclude il principio ordinamentale della separazione tra i poteri”.

[13] L’interlocuzione preventiva risponde all’esigenza di risolvere la problematica delle notifiche cd. precauzionali: nella prassi, infatti, accadeva che un numero sempre più crescente di notifiche effettuate dagli operatori economici privati non rientrassero nell’ambito di applicazione della disciplina in materia di golden power. Sul punto, cfr. S. DE NITTO, I golden power nei settori rilevanti della difesa e della sicurezza nazionale, in Dir. amm., n. 2, 2022, p. 580.

[14] In assenza di opposizione da parte delle amministrazioni coinvolte o delle parti private, volta a rimettere la questione alla valutazione del Consiglio dei ministri, il Gruppo di coordinamento può definire il procedimento con un provvedimento di non esercizio dei poteri speciali, purché la decisione avvenga all’unanimità.

[15] Così, R. SPAGNUOLO VIGORITA, Golden power: per un nuovo paradigma di intervento dello stato nell’economia, in Rivista Interdisciplinare Sul Diritto Delle Amministrazioni Pubbliche, n. 4, 2021, p. 121.

[16] Cfr. T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 13 aprile 2022, n. 4486 e 4488.

[17] Cfr. B.G. MATTARELLA, Il Provvedimento, in S. CASSESE (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2015, p. 360.

[18] In via esemplificativa, sono di alta amministrazione: la nomina o revoca delle più alte cariche dello Stato in regime fiduciario; l’approvazione di regolamenti generali; le deliberazioni dei Consigli regionali; le direttive dei Comitati interministeriali; le determinazioni del Consiglio superiore di difesa e del Consiglio Superiore della Magistratura; l’approvazione di piani e programmi di coordinamento e di intervento in settori economici e industriali; i decreti di annullamento straordinario di atti illegittimi da parte del Governo, come i decreti di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali; l’esercizio del potere sostitutivo del Governo nei confronti di Regioni ed enti locali ex art. 120 Cost. Sull’elencazione, si v. M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Roma, 2023, p. 373.

[19] Cfr. Cons. Giust. Amm. per la Regione Siciliana, 31 ottobre 2022, n. 1125.

[20] In tal senso, T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 13 aprile 2022, n. 4486 e 4488.

[21] Si tratta della riflessione di F. CINTIOLI, La natura amministrativa della decisione sull’esercizio dei poteri speciali e la sua sottoposizione al sindacato del giudice amministrativo, R. CHIEPPA, C.D. PIRO, R. TUCCILLO, (a cura di), Golden power, Milano, 2023, p. 255.

[22] Cit. T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 13 aprile 2022, n. 4488.

[23] Lo rileva M. CLARICH – G. MARRA, Golden power: il Giudice conferma il potere dello Stato, in Dialoghi di diritto dell’economia, 27 aprile 2022, p. 2.

[24] Così, D. IELO, Riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti “golden powers”, in Rivista Interdisciplinare Sul Diritto Delle Amministrazioni Pubbliche, n. 4, 2021, p. 62.

[25] Cfr. L. MASOTTO, Il golden power alla prova del procedimento e del processo amministrativo, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2022 p. 667.

[26] Cit. Cons. St., sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 289.

[27] Sul punto, si v. T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 13 aprile 2022, n. 4486 e 4488.

[28] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 289.

[29] Lo evidenzia A. SANDULLI, La febbre del golden power, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3, 2022, p. 759.

[30] Si tratta del punto di vista di L. MASOTTO, op. cit., p. 669.

[31] Il riferimento è a Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 289.

[32] Così, M. RAMAJOLI, Il declino della decisione motivata, in Dir. Proc. Amm., n. 32017, p. 895.

[33] Cit., F. CINTIOLI, op. cit., p. 256-257. L’Autore aggiunge, con un’espressione icastica, volta a sottolineare la pregnanza del potere esercitato dall’autorità pubblica, che “il Leviatano è tornato e non possiamo fare altro che constatarlo”.  

[34] Sul punto, si v. D. PITTELLI, Golden Power e procedimento amministrativo: limiti, garanzie e zone grigie, in Federalismi.it, n. 16, 2024, p. 216.

[35] Sulla questione, si v. S. SANTAMARIA, L’amplissima discrezionalità della Presidenza del Consiglio dei ministri nell’applicazione dei poteri speciali. Opportunità o ostacolo? in Il diritto dell’economia, n. 2, 2023, p. 450-452.

[36] Per entrambe le espressioni, si v. L. R. PERFETTI, Investitori spiazzati da norme generiche e sanzioni pesanti, in Sole 24 Ore, 20 febbraio 2023.

[37] Così, B. ARGIOLAS, op. cit., p. 724.

[38] Cfr. G. SCARCHILLO – A. IMPERIA, Golden powers: una terza via per l’intervento pubblico in mercati internazionali strategici, in Dir. comm. int., n. 3, p. 618.

[39] Cfr. A. SANDULLI, Esercizio dei poteri speciali e sorte dell’impresa strategica, in Giorn. dir. amm., n. 4, 2023, p. 464.

[40] Si tratta della ricostruzione di F. CINTIOLI, op. cit., p. 265.

[41] Cfr. DANIELE U. SANTOSUOSSO, Uno strumento legittimo di politica economica da maneggiare con cura, in Sole 24 Ore, 5 maggio 2022, in cui si sostiene che: “Guidare verso una armonica composizione dei due ordini di interessi è compito del giurista”.

[42] Si tratta dell’espressione di R. GAROFOLI, Golden Power e controllo degli investimenti esteri: natura dei poteri e adeguatezza delle strutture amministrative, in Federalismi.it, n. 17, 2019, p. 2.

[43] Cit., L. FIORENTINO, Verso una cultura del golden power, in Quaderno del Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica – Golden power, 2021, p. 24.

[44] Così, A. ILACQUA, L’ascesa dei golden powers. Dallo Stato imprenditore allo Stato protettore, in Il diritto dell’economia, n. 1, 2023, p. 429.

[45] Cit. G. NAPOLITANO, op. cit., p. 549.

[46] Come sottolinea M. MACCHIA, op. cit., p. 90, l’eccessiva estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto rischia di provocare un’eterogenesi dei fini rispetto all’originaria ratio della normativa, per cui alcune imprese nazionali vengono tutelate non in quanto detentrici di assets strategici, ma per evitarne la de-nazionalizzazione. Sul punto, si veda altresì il contributo di A. SERRAVALLE – C. STAGNARO, I costi per il paese di un Golden power illimitato, in Il Foglio, 10 aprile 2021, ove si legge che: “Poteri troppo vasti e indefiniti rischiano di danneggiare proprio le aziende che si vuole tutelare”.

[47] Cfr. R. CHIEPPA, La nuova disciplina del golden power dopo le modifiche del d.l.  21/2022 e della legge di conversione 51/2022, in Federalismi.it, n. 16, 2022, p. 27.

[48] Nel 2023, delle 577 notifiche pervenute alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel 2023, per 3 volte si è fatto ricorso all’esercizio dei poteri speciali nella massima forma del veto o dell’opposizione, mentre ulteriori 33 operazioni sono state sottoposte a specifiche misure di prescrizione; per 205 casi, invece, il Gruppo di coordinamento ha deliberato il non esercizio dei poteri speciali, mentre 310 casi sono stati considerati non rientranti nel perimetro applicativo della normativa. Per quanto concerne la provenienza degli investimenti su cui il Governo ha deciso di intervenire, si rileva che l’esercizio del golden power è comunque avvenuto prevalentemente nei confronti di investitori extra-europei, provenienti da Paesi che non fanno parte delle alleanze internazionali a cui partecipa l’Italia e l’Unione Europea. Sul punto, si veda la Relazione Annuale, per l’anno 2023, del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, in www.sicurezzanazionale.gov.it

 

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