Estate 2014, l’indagine sugli appalti del sistema di dighe anti-acqua alta
VENEZIA – Corruzione, frode fiscale, finanziamento illecito ai partiti. Era il 4 giugno 2014, quando la Procura di Venezia dispose 35 arresti e un centinaio di indagati per corruzione e tangenti legati ai cantieri del MOSE.
La storia del MOSE
Un progetto durato 40 anni.
Il nome MOSE è l’acronimo di Modulo Sperimentale Elettromeccanico, che rimanda direttamente al profeta capace di riuscire a separare le acque del Mar Rosso. È questo che dovrebbe fare il MOSE: proteggere Venezia dall’acqua alta.
Intorno alla realizzazione di questa opera, una delle più costose mai realizzate in Italia, la Procura scopre un giro colossale di mazzette calcolato in cento milioni di euro.
Ideato negli anni ’80, il MOSE vede la posa della prima pietra il 14 maggio 2003 ma, per la sua realizzazione, i tempi si sono allungati anche a causa della maxi-inchiesta sulla corruzione.
Il primo test di innalzamento delle 78 dighe mobili è stato il 3 ottobre 2020, quando per la prima volta la laguna viene separata completamente dal mare per proteggere la città.
È il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a dare il via all’innalzamento delle dighe sull’isola artificiale che separa le Bocche di Porto dal Lido.
Durante gli anni della progettazione e della realizzazione dello strumento di salvaguardia di Venezia ci sono accesissime polemiche e prese di posizione, favorevoli e contrarie. Nel novembre del 2022 il Mose salva la città da una marea eccezionale. Il sistema funziona.
Le tangenti
Il sistema di tangenti, scoperto tra il 2013 e il 2014, tra arresti, indagini e processi ha rallentato di molto la realizzazione dell’opera.
Il 4 giugno del 2014 vengono arrestate 35 persone, un centinaio gli indagati.
Imprenditori, politici, amministratori, di centrodestra e centrosinistra, che negli anni erano stati sovvenzionati da Giovanni Mazzacurati, a lungo direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, società concessionaria della realizzazione della struttura.
L’indagine era nata dagli accertamenti della Guardia di Finanza sui fondi neri creati all’estero. Nel 2009 emergono delle anomalie in seguito a verifiche fiscali che fanno aprire nel 2014 il vaso di Pandora.
Gli indagati illustri
Agli arresti domiciliari finiscono l’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, l’assessore regionale Renato Chisso, l’ex ministro delle infrastrutture e Trasporti, Altero Matteoli.
Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia dal 2010 al 2014, viene arrestato ai domiciliari, poi revocati, non per lo scandalo MOSE ma per presunta violazione della normativa di finanziamento ai partiti. Viene accusato di aver avuto 110mila euro per la sua campagna elettorale del 2011.
Il 13 giugno, dopo una settimana ai domiciliari Orsoni, abbandonato dal suo partito il PD, azzera la giunta e si dimette da sindaco della città lagunare “come atto politico” ribadendo la sua estraneità a fatti di corruzione.
I primi di luglio arriva in città il commissario straordinario il prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto, chiamato a traghettare l’amministrazione verso nuove elezioni. Il 15 giugno 2015 viene eletto sindaco Brugnaro.
Come si chiude la vicenda
Nel 2019 si arriva ai patteggiamenti sia per i grandi accusatori che per gli indagati. Alla fine della lunga vicenda giudiziaria Galan ha patteggiato due anni e dieci mesi per corruzione continuata. Ha patteggiato per corruzione (due anni e mezzo) l’allora assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso.
Anche il sindaco Orsoni ha cercato di patteggiare ma la sua richiesta viene respinta. Segue il processo e, nell’ottobre del 2020, Orsoni viene assolto per alcuni reati legati al finanziamento illecito, la prescrizione chiude per lui altri aspetti della vicenda.
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