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Cassazione penale, sez. V, 21 maggio 2024 (ud. 11 gennaio 2024), n. 20082
Presidente Zaza, Estensore Catena, Imp. Saletta, P.M. Epidendio

1. Il caso di specie e la questione giuridica

Con la sentenza che qui si annota, la Corte di cassazione offre spunti utili per ragionare sul tema della nullità del decreto di citazione diretta a giudizio nei casi patologici attinenti all’avviso di conclusione delle indagini preliminari (notifica omessa o invalida).

Nel caso di specie, l’atto conclusivo delle indagini ex art. 415 bis c.p.p. era stato notificato ad un prossimo congiunto non convivente con l’imputato. Ciononostante, nel processo di primo grado, il difensore aveva sollevato soltanto la questione della irregolare notifica del decreto di citazione a giudizio ex art. 7 della legge n. 245 del 1948, mentre nulla aveva eccepito in merito alla invalida notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini o alla (conseguente) nullità dell’atto introduttivo del giudizio.

Ciò ha consentito alla suprema Corte di dichiarare inammissibile il ricorso dopo aver ribadito il principio di diritto secondo cui «la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per omessa notifica all’imputato dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen. implica la lesione del diritto di difesa, ed è inquadrabile nelle nullità di ordine generale, che possono essere eccepite fino alla deliberazione della sentenza di primo grado»[1].

2. Gli orientamenti intorno al regime della nullità

Tenuto conto dell’assenza di eccezioni difensive per tutto il giudizio di primo grado sia sull’omesso avviso ex art. 415 bis c.p.p. sia in merito alla nullità del decreto di citazione, prevista dall’art. 552 co. 2 c.p.p., il giudice nomofilattico non ha approfondito il tema della suscettibilità della nullità in parola, espressamente ascritta alla categoria delle nullità a regime intermedio, di essere sanata.

Ha affrontato l’argomento, nel recente passato, la sentenza Cass. pen., sez. VI, 28 dicembre 2017, dep. 2018, n. 2382, con cui la quinta Sezione della Corte di legittimità ha precisamente ripercorso i due orientamenti sviluppatisi in ordine alla natura della nullità ex art. 552 co. 2 c.p.p., traendone le riflessioni conseguenti sulla possibilità che la stessa venga sanata.

Secondo un primo orientamento minoritario, si tratta di una nullità relativa da eccepire entro la fase ex art. 491 c.p.p. subito dopo aver completato la costituzione delle parti; nel caso di omessa eccezione, la nullità in esame risulterebbe senza dubbio sanata[2].

Secondo altra opzione esegetica maggioritaria, sposata dalla sentenza n. 20082/2024 in commento, si sarebbe in presenza di una nullità a regime intermedio, da rilevare o eccepire entro la chiusura del dibattimento o al momento della deliberazione della sentenza, restando, altrimenti, sanata[3].

Il fondamento della seconda tesi risiede nel fatto che la nullità del decreto introduttivo discende dalla lesione dei diritti sanciti dall’art. 415 bis c.p.p., che si inquadrano tra le disposizioni in tema di intervento, assistenza e rappresentanza dell’imputato ex artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p., la cui violazione è presidiata dalla nullità a regime intermedio.

La giurisprudenza sul punto è pacifica: con un recente arresto, è stato chiarito che l’avviso di conclusione delle indagini è atto del pubblico ministero che pone l’indagato in condizione di interloquire entro un termine di legge sulla stessa deliberazione di chiusura delle indagini, mediante l’offerta di ragioni difensive di carattere sostanziale e tecnico, ostative all’esercizio dell’azione penale; a questo fine, non è possibile scindere la deliberazione dell’organo di accusa di chiudere le indagini dalla sua comunicazione ai soggetti legittimati[4].

La sentenza n. 2382 del 2017, nel cui filone si colloca quella qui brevemente annotata, ha aderito alla tesi da ultimo cennata, accogliendo il ricorso del difensore in merito alla nullità derivata della sentenza di primo grado, rilevando come lo stesso difensore avesse eccepito la nullità del decreto di citazione per omessa notifica dell’avviso di conclusione indagini in sede di conclusioni nel processo di primo grado.

Più di recente, la Corte di cassazione ha analizzato un caso analogo esprimendo il medesimo principio di diritto. All’imputato veniva contestato il delitto di truffa; il difensore, in una delle udienze successive all’apertura del dibattimento, aveva eccepito l’omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari, eccezione respinta in primo grado e in secondo grado in accoglimento della teoria, sopra già enunciata, della natura relativa della nullità in esame.

La Corte di cassazione ha annullato la sentenza della corte d’appello aderendo alla tesi della nullità intermedia e rilevando la tempestività della eccezione sollevata innanzi al giudice di prime cure[5].

Pare allora delinearsi un solido orientamento di legittimità secondo cui la nullità intermedia dell’atto introduttivo originata dalle vicende patologiche attinenti alla comunicazione dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. è sanata soltanto quando la relativa eccezione non sia stata sollevata entro tutto il giudizio di primo grado e cioè fino alla deliberazione della relativa sentenza; sembrerebbero estranee al contesto le sanatorie previste dall’art. 183 del codice di rito.

3. Brevi cenni sulle sanatorie nel processo penale

Com’è noto, l’istituto della sanatoria si giustifica alla luce del principio di conservazione degli atti di cui costituisce una delle declinazioni funzionali. Quando all’atto invalido accedano peculiari fatti previsti dall’ordinamento, si ritiene l’atto sanato, vale a dire privo del vizio che lo connotava, nella logica della prevalenza di un diverso interesse, pubblico o privato, rispetto a quello che l’ordinamento vanta alla perfetta aderenza dell’atto al suo modello legale[6].

Nel sistema processuale esistono due cause generali di sanatoria di atti nulli, le quali si applicano alle nullità intermedie e a quelle relative, con esclusione delle nullità assolute le quali diventano intangibili solo col passaggio in giudicato della sentenza.

La prima causa è nota come acquiescenza e si configura quando la parte interessata ad eccepire la nullità abbia accettato l’atto, con due modalità comportamentali alternative: a) ha rinunciato all’eccezione, in questo caso richiedendosi che la rinuncia sia “espressa”; b) ha accettato gli effetti dell’atto nullo, in questo caso ritenendosi sufficiente che ciò sia avvenuto anche solo per fatti concludenti, ovvero mediante comportamenti incompatibili con la volontà di eccepire il vizio [cfr. art. 183, lett. a), c.p.p.][7].

Si ritiene che con l’acquiescenza la parte lasci intendere di non aver subito una lesione effettiva alle proprie prerogative, o comunque rinunci a far valere la lesione del proprio diritto[8].

Tra i casi più discussi, vi era l’istanza di ammissione al rito abbreviato quando in precedenza un atto fosse stato interessato da una nullità intermedia o relativa. Ci si chiedeva infatti se la domanda di ammissione al rito alternativo potesse considerarsi sanante nella forma della acquiescenza tacita: proprio la diversità di opinioni ha mosso la mano del legislatore che ha disciplinato espressamente il caso all’art. 438 co. 6 bis c.p.p., prevedendo la sanatoria delle nullità non assolute e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, con eccezione delle c.d. inutilizzabilità patologiche, fondate sulla violazione di divieti probatori[9].

La seconda causa consegue invece all’esercizio della facoltà cui l’atto nullo era preordinato. Anche in questo caso la parte manifesta disinteresse rispetto al vizio che caratterizza l’atto, per avere in concreto fruito dei suoi aspetti funzionali [cfr. art. 183, lett. b), c.p.p.]; tradizionalmente si ritiene che il fondamento di questa sanatoria sia il c.d. “raggiungimento dello scopo”[10].

In dottrina, è stata fatta notare la scarsa precisione della tecnica legislativa nella perimetrazione dell’istituto della sanatoria. In effetti, il sistema processuale annovera espressamente tra i casi di sanatoria soltanto quelli della acquiescenza della parte e dell’esercizio, sempre ad opera della stessa, delle facoltà innescate dall’atto nullo (si veda la rubrica dell’art. 183 c.p.p.). Sembrerebbe non rientrare nell’alveo dogmatico in esame la scadenza dei termini per eccepire o rilevare la nullità (intermedia o relativa), che porrebbe piuttosto un problema di decadenza e di conseguente inammissibilità della eventuale eccezione[11].

Altra dottrina riconnette invece l’efficacia sanante ai tre fenomeni giuridici diffusamente richiamati dagli artt. 178 e ss. c.p.p., vale a dire – oltre all’acquiescenza e all’esercizio della facoltà connaturata all’atto nullo – anche le indeducibilità e il decorso del tempo, nel quale caso si discorre in certa letteratura di «sanatoria per decadenza»[12].

Questa seconda tesi, a parere di chi scrive, va incontro ad un’obiezione: sul piano della teoria generale, la sanatoria è tradizionalmente agganciata ad un fatto successivo all’emanazione di un atto invalido in grado di rimuoverne concretamente il vizio.

Se questa è la prospettiva, può giustificarsi il fatto che il legislatore abbia legato l’istituto della sanatoria ai comportamenti della parte che abbia espresso indifferenza alla invalidità palesatasi o adesione all’atto (seppur) imperfettamente compiuto; incidendo la nullità sugli interessi di parte, quest’ultima pare costituire l’unica fonte in grado, col proprio comportamento, di “giustificare” l’atto nullo e farlo apparire, nella vicenda processuale, come non viziato. Diversamente, il mero decorso del tempo e le indeducibilità non paiono incidere sulla lesività del vizio, bensì sulla legittimazione a dedurla o rilevarla, sortendo soltanto sul piano pratico il medesimo effetto della sanatoria, vale a dire l’impossibilità di discutere ulteriormente della patologia dell’atto.

4. Riflessioni sull’effetto sanante dell’inerzia di parte

Ci si chiede in questa sede se, accedendo alla tesi della nullità intermedia del decreto introduttivo del giudizio per omesso avviso ex art. 415 bis c.p.p., oltre alla decadenza quando non dedotta entro i limiti temporali di cui all’art. 180 c.p.p., siano applicabili alla stessa anche le sanatorie menzionate, in particolare nel caso della omessa eccezione di parte.

L’orientamento della Corte di legittimità analizzato in premessa parrebbe vertere nel senso della inapplicabilità delle sanatorie ex art. 183 cit.; difatti le sentenze del 2017 e del 2023 richiamate sono particolarmente chiare sul punto, avendo accolto il ricorso del difensore che aveva eccepito la nullità in esame in una fase avanzata del giudizio di primo grado; e la sentenza n. 20082 del 2024, qui oggetto di breve annotazione, pare implicitamente allinearsi alla precedente sedimentazione ermeneutica, avendo risolto la questione posta al suo vaglio col mero richiamo ai termini di decadenza di cui all’art. 180 c.p.p. senza affrontare il tema del silenzio del difensore per tutto il primo grado di giudizio.

L’orientamento in parola non prende in esame l’inerzia della parte e perciò non si confronta con la possibilità che tale omissione possa innescare una delle fattispecie sananti poc’anzi analizzate.

Non pare irragionevole ritenere che la parte interessata, la quale – a fronte del decreto di citazione nullo per omesso avviso di conclusione indagini – non eccepisca la nullità alla prima udienza utile a contraddittorio integro, incorra in uno degli eventi sananti.

Potrebbe infatti in primo luogo ritenersi che essa abbia “accettato” gli effetti dell’atto.

Chi scrive è consapevole della tesi dominante in letteratura secondo cui sarebbe esclusa dalla nozione di comportamento concludente la mera inerzia della parte in un momento in cui già potrebbe eccepire la nullità[13]. Tuttavia, va anche rilevata una possibile forzatura nella esegesi del concetto di “accettazione” dell’atto come comportamento necessariamente attivo e in conflitto con la volontà di far valere la nullità; così argomentando, sfumerebbero i confini tra la rinuncia espressa, che non pare lessicalmente limitata alle forme di manifestazione verbale, e l’accettazione.

Quest’ultima pare invece compatibile, già sul piano letterale, con l’inerzia della parte, ma – essendo imperniata su contenuti psichici difficilmente scandagliabili – necessita, per una affidabile lettura, di dati di contorno che possano rafforzarne il significato nell’ottica della carenza di interesse all’eccezione. Tali dati sono, secondo la dottrina più qualificata, da ricercarsi in ulteriori «comportamenti di segno positivo da cui possa desumersi la volontà acquiescente»[14].

A parere di chi scrive, deve essere attentamente valutato il comportamento di parte e il suo contributo all’incedere dell’attività processuale, in contesti di azione significativi, vale a dire forniti di connotazioni, strutturali o funzionali, tali da far emergere, secondo un canone di ragionevolezza, l’assenza di interesse ad eccepire la nullità e la pura adesione agli snodi procedimentali.

Tornando al caso oggetto della presente annotazione, e calandovi i ragionamenti appena profusi, va tenuta in debito conto la peculiare ratio della nullità dell’atto introduttivo, che è quella di consentire alla parte di richiedere che il procedimento regredisca sino al momento in cui si è verificata l’omissione lesiva del diritto di difesa, cioè sino al momento del mancato recapito dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, la cui regolarità dà la stura all’esercizio delle facoltà di cui all’art. 415 bis cit.; in altri termini, eccepire la nullità di cui all’art. 552 co. 2 c.p.p. significa apertamente manifestare la volontà che il procedimento regredisca in modo da esercitare le prerogative difensive pregiudicate.

Si verifica allora un fatto concludente incompatibile con la volontà di eccepire la nullità e ripristinare le facoltà difensive compromesse, ove la parte, conosciuta la nullità dell’atto introduttivo che ha instaurato il giudizio, non formuli opposizione all’incedere procedimentale e si presti col proprio contributo attivo alla ordinaria celebrazione del processo, nell’ambito della quale essa potrà anche esprimere, sotto altre forme, le medesime prerogative menzionate dall’art. 415 bis c.p.: chiedere l’ammissione di prove, introdurre documenti, rendere dichiarazioni.

D’altra parte, ancora ai fini di delineare un contesto significativo nel quale possa formarsi l’accettazione tacita, vi sarebbe ulteriormente da considerare che la nullità dell’atto introduttivo del giudizio estende i suoi effetti alle attività processuali intanto compiute, cui la parte può assistere senza nulla eccepire, ricorrendo in questi casi l’indeducibilità delle nullità progressivamente perfezionatesi: assistere all’estensione della nullità iniziale agli atti processuali intanto venuti ad esistenza e nulla eccepire conforterebbe l’ipotesi dell’acquiescenza all’atto introduttivo invalido.

Pertanto, anche ove si volesse escludere il vizio dell’atto introduttivo dalla categoria delle nullità relative, riversandolo nell’alveo delle nullità intermedie, il risultato non cambierebbe: potrebbe ritenersi sanata la nullità ove la parte non la eccepisse una volta compiuto l’accertamento circa l’integrità del contraddittorio, vale a dire, ancora una volta, nell’ambito delle questioni preliminari; la fase non segnerebbe un termine decadenziale come accade per le nullità relative ma il momento processuale in cui verificare gli estremi del comportamento sanante. In alternativa, potrebbe ritenersi sanata la nullità in esame quando la parte l’abbia eccepita dopo aver interloquito in maniera positiva in fase di ammissione prove, specie ove l’attività istruttoria abbia avuto concreto inizio.

Possono svolgersi alcune rapide osservazioni anche sulla eventuale applicabilità del secondo tipo di sanatoria, dipendente dall’esercizio della facoltà cui l’atto omesso o nullo è preordinato.

Giova subito rilevare che la menzione da parte del legislatore non soltanto dell’atto nullo ma anche dell’atto “omesso” (che nullo non è ma può comportare nullità) è particolarmente significativa, siccome impone all’interprete di scandagliare l’intima ragione della nullità palesatasi, individuando precisamente quali siano le facoltà e le prerogative procedimentali lese dall’invalidità che, quale fenomeno a maglie ampie, si sia innestata su un segmento procedimentale.

Il tessuto letterale adoperato dal legislatore con riguardo a questa seconda fattispecie sanante è, a parere di chi scrive, a primo acchito rispondente al caso oggetto della presente annotazione: infatti, la ratio della nullità dell’atto introduttivo del giudizio per omesso avviso di conclusione delle indagini è fortemente legata a questa omissione, che ha generato l’impossibilità per la parte di esercitare i diritti indicati dall’art. 415 bis c.p.p.; dunque, per verificare in astratto se operi la sanatoria, non dovrà tanto prendersi in considerazione se la parte si sia avvalsa dell’unico atto nullo costituito dal decreto di citazione, quanto verificarsi se la stessa abbia avuto modo di “recuperare” le facoltà processuali perdute.

È necessario allora chiedersi se, alla sanatoria per acquiescenza, possa aggiungersi nel caso di specie anche la sanatoria per esercizio delle facoltà collegate all’avviso di conclusione delle indagini, sebbene in una fase processuale più avanzata; il che potrebbe ad esempio avvenire quando la parte, senza nulla eccepire, abbia fruito nell’udienza dibattimentale delle prerogative menzionate dall’art. 415 bis cit., ad esempio indicando testimoni, producendo documenti e chiedendo l’esame dell’imputato (o avvalendosi del suo diritto a rendere dichiarazioni spontanee).

Plausibilmente, la risposta è negativa, siccome l’efficacia sanante dell’esercizio delle facoltà correlate all’atto omesso o nullo si regge sul principio del raggiungimento dello scopo, ma quest’ultimo va temporalmente ancorato alla specifica situazione procedimentale inficiata da nullità, non potendo essere adottati, quali parametri di comparazione, segmenti processuali più avanzati che consentano alla parte di servirsi di poteri analoghi a quelli pretermessi in altra fase. Resta allora il rilievo del recupero postumo delle facoltà difensive ai soli fini della sanatoria per acquiescenza, come si è tentato in precedenza di argomentare.

In conclusione, escludere l’ammissibilità della sanatoria tramite inerte accettazione (rectius: silenzio significativo della parte dinanzi alla prosecuzione del giudizio) per questa peculiare invalidità significa esporre il processo a comportamenti speculativi della parte, la quale sarebbe posta in condizione di verificare l’andamento della vicenda giudiziaria e solo alla fine eccepire la nullità della citazione a giudizio, in spregio ai principi di leale cooperazione tra le parti e di ragionevole durata del processo nel cui prisma dovrebbe essere riletto l’art. 183 del codice di rito.


[1] Cass. pen., sez. VII, 27 giugno 2024, n. 27055; Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2023, dep. 2024, n. 10393; Cass. pen., sez. IV, 27 settembre 2018, n. 46763; Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 2012, dep. 2013, n. 1043.

[2] In tal senso, Cass. pen., sez. V, 4 luglio 2014, n. 34515.

[3] Conf. Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2023, dep. 2024, n. 10393; Cass. pen., sez. IV, 27 settembre 2018, n. 46763; Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 2012, dep. 2013, n. 1043; si veda anche la più risalente Cass. pen., sez. VI, 5 giugno 2003, n. 34955).

[4] In questi termini, Cass. pen., sez. II, 9 novembre 2023, dep. 2024, n. 5449; conf. Cass. pen., sez. IV, 3 febbraio 2021, n. 20377.

[5] Si veda Cass. pen., sez. II, 9 novembre 2023, n. 49729.

[6] P.P. Paulesu, sub art. 183, in Commentario breve al codice di procedura penale, Cedam, 2020, p. 718; N. Triggiani, Atti, in A. Scalfati e altri, Manuale di diritto processuale penale, Giappichelli, 2023, p. 237.

[7] C. Iasevoli, La nullità nel sistema processuale penale, Cedam, 2008, p. 256 s.

[8] P. Corvi, sub art. 183, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, Wolters Kluwer, 2023, p. 2548 ss.

[9] Cfr. Cass. pen., sez. IV, 20 dicembre 2023, dep. 2024, n. 7406.

[10] G. Di Paolo, La sanatoria delle nullità nel processo penale, Cedam, 2012, p. 134 ss.

[11] G. Ubertis, Atti, in Sistema di procedura penale, a cura di G. Ubertis, vol. II, Giuffrè, 2023, p. 186.

[12] H. Belluta-M. Gialuz-L. Lupària, Codice sistematico di procedura penale, Giappichelli, 2020, p. 272; M. Scaparone, Procedura penale, vol. I, Giappichelli, 2010, p. 436.

[13] M. Daniele, Nullità ed efficacia sanante del consenso, in Cass. pen., 2024, 6, p. 1990 e ss.

[14] G. Di Paolo, Nullità processuali e sanatorie tra tassatività e tendenze antiformalistiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1, p. 246 ss.

 

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