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diGian Guido Vecchi

Lungo intervento del pontefice al termine delle Settimane sociali dei cattolici aperte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con citazioni da Moro e La Pira

Trieste – «È evidente che nel mondo di oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute». Francesco interviene al centro congressi, a concludere le Settimane sociali dei cattolici, e la sua immagine viene rimandata dal maxischermi in piazza Unità d’Italia, affacciata sul golfo, ai fedeli in attesa della Messa. La «crisi della democrazia» come un «cuore ferito», l’«incoraggiamento a partecipare affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato». Il Papa lo dice con chiarezza: «La parola stessa “democrazia” non coincide semplicemente con il voto del popolo – a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata votare: cosa significa? – ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche».

«Il primo ricordo di Trieste da mio nonno, in guerra sul Piave»

Francesco si rivolge ai delegati riuniti da mercoledì a Trieste, una riflessione affine alla lectio con la quale il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva aperto le giornate triestine: «Battersi affinché non ci possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti…Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme», spiegava Mattarella. Anche nel caso del Papa, non si tratta solo dell’Italia. La città asburgica e cosmopolita nella quale James Joyce e Italo Svevo si incontravano al caffè è un epitome dell’Europa e delle sue ferite. «La prima volta che ho sentito parlare di Trieste è stato da mio nonno, che aveva fatto la guerra sul Piave», racconta Francesco: «Ci insegnava tante canzoni, “Il generale Cadorna scrive alla regina: se vuol guardare Trieste, che la guardi in cartolina». Così «l’impegno cristiano e una lettura evangelica dei fenomeni sociali non valgono soltanto per il contesto italiano, ma rappresentano un monito per l’intera società umana e per il cammino di tutti i popoli». Spiega il pontefice: «Come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e nazioni, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo».




















































I cattolici «artefici della democrazia»

In questi giorni «ci siamo sentiti a casa, abbiamo trovato una vera piazza Unità d’Italia. Non abbiamo parlato di partecipazione, l’abbiamo vissuta», ha spiegato nel suo saluto il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei: «I cattolici in Italia non sono una lobby in difesa di interessi particolari e non diventeranno mai di parte, perché l’unica parte che amano e indicano liberamente a tutti è quella della persona. Dopo questi giorni, la voglia è aumentata: voglia di partecipazione, voglia di rendere migliore questo mondo, di aiutare la democrazia viva del nostro Paese e dell’Europa». Francesco, per parte sua ricorda: «In Italia è maturato l’ordinamento democratico dopo la Seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure l’esperienza delle Settimane sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo».

Ls citazione di Aldo Moro: «Lo Stato sia al servizio dell’uomo»

Si tratta, anzitutto, di affrontare la crisi della democrazia: «Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre», dice Bergoglio. L’elenco delle sofferenze è lungo: «La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone». Francesco cita Aldo Moro: «Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità». E ricorda ciò che disse a Strasburgo, quando nel 2014 intervenne al Parlamento e al Consiglio d’Europa: «È importante far emergere l’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società».
 

«L’indifferenza cancro della democrazia»

La democrazia «richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare». E «tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità, nessuno deve sentirsi inutile», spiega Francesco: «Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. E l’indifferenza è un cancro della democrazia».
Per questo è essenziale partecipare, in una società democratica, e il Papa lo dice anzitutto ai fedeli: «Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Questo è l’amore politico».

Cita La Pira: «Dai cattolici un progetto di buona politica»

Alla fine Francesco richiama le parole di Giorgio La Pira: «Aveva pensato al protagonismo delle città, che non hanno il potere di fare le guerre ma che ad esse pagano il prezzo più alto. Così immaginava un sistema di “ponti” tra le città del mondo per creare occasioni di unità e di dialogo». Ecco: «Sull’esempio di La Pira, non manchi al laicato cattolico italiano questa capacità  di “organizzare la speranza”: la pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa? Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune». Questo è il ruolo della Chiesa, conclude: «Coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro».

«Serve una fede umana, di carne, che entri nella storia»

La riflessione di Bergoglio è tanto più significativa alla luce di ciò che dirà nell’omelia, in piazza, la citazione dei versi di Umberto Saba in «Città vecchia»: «Un poeta di questa città, descrivendo in una lirica il suo abituale ritorno a casa di sera, afferma di attraversare una via un po’ oscura, un luogo di degrado dove gli uomini e le merci del porto sono “detriti”, cioè scarti dell’umanità; eppure proprio qui, scrive, “io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà», perché la prostituta e il marinaio, la donna che litiga e il soldato, “sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore”». Oggi, avverte Francesco, «non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in sé stessa» che «celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade» ma «ci serve invece lo scandalo della fede, una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, accarezza la vita della gente, risana i cuori spezzati». Il tono di Francesco è vibrante: «È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe della società, che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, che ci aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo. È, soprattutto, una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli». Il Papa rivolge lo sguardo ai fedeli che colmano la piazza: «E noi, che talvolta ci scandalizziamo inutilmente di tante piccole cose, faremmo bene invece a chiederci: perché dinanzi al male che dilaga, alla vita che viene umiliata, alle problematiche del lavoro, alle sofferenze dei migranti, non ci scandalizziamo? Perché restiamo apatici e indifferenti dinanzi alle ingiustizie del mondo? Perché non prendiamo a cuore la situazione dei carcerati? Abbiamo paura di trovare Cristo, lì».

7 luglio 2024 ( modifica il 7 luglio 2024 | 12:26)

 

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