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Enogastronomia 07 Lug 2024 14:38


BARI – È il momento di decompressione della giornata e gli italiani questo lo sanno bene. Stiamo parlando dell’aperitivo, un rito che conquista più del 48% della popolazione (Fonte Niq) coinvolgendo giovani e meno giovani. L’aperitivo, che richiama almeno 22 milioni di persone, lo si fa almeno una volta a settimana e comporta una spesa media di 12 euro a uscita, senza contare il comparto food. Non mancano i cultori de rito che, ancora oggi dopo il lockdown, continuano a coltivare con drink alcolici a base di vino, gin e vermouth.

Con il tempo l’aperitivo si è trasformato non considerando più solo spritz e ciotoline misere, ma è diventato un modo per scoprire, ancor prima del pranzo o della cena, una cucina sfiziosa che questo o quel locale propone, magari facendo l’occhiolino al territorio in senso enogastronomico.

Secondo gli ultimi trend di mercato, in relazione alla nostra happy hour, a sbancare sono gli spumanti perché si sa, e il mercato lo dimostra, sbocciare è sempre una buona idea. Infatti il 32% tiene per le bollicine – specialmente se italiane – mentre il 26% si concentra sui cocktail più svariati. Dall’evergreen spritz che coinvolge anche il prosecco, al più fighetto gin tonic che, grazie all’esplosione della bevanda in tutte le salse, guadagna notorietà tra la Generazione Z e i millenials. Il vino tiene ovviamente, ma zoppica un po’ conquistando solo il 18% del popolo dell’aperitivo, così come chi preferisce rilassarsi con una birra, bevanda scelta per gli over 50. E il vino non se la passa bene poiché i fermi riscontrano un picco di consumo presso la fascia d’età dai 25 ai 24 anni. Le bevande analcoliche o poco alcoliche riscuotono ancora grande successo, infatti il 10% dei consumatori dichiara di berne durante l’aperitivo. Una tendenza però, che fa drizzare le orecchie ai produttori e ai distributori, oggi quasi obbligati a fare i conti con questa realtà.

Parliamo del food, essenziale al tavolo dell’aperitivo. Un aperitivo non è tale se le bevande non vengono accompagnate da una degna offerta alimentare, tanto che il 14% dei consumatori valuta cosa bere in funzione degli abbinamenti gastronomici proposti. Un terzo degli italiani ha un suo accostamento preferito, e certamente non sono patatine e olive, seppur non devono mai mancare. Il 62% dichiara di saziarsi con stuzzichini misti, seguiti da un 56% amante delle pizzette, patatine fritte per il 47%, a seguire i taglieri di formaggi e/o salumi per il 41%. È il momento di dire basta alle classiche e tristi ciotoline di arachidi e affini, perché l’italiano che si accomoda per l’aperitivo vuole investire il suo tempo e denaro con qualcosa di più sostanzioso e più sfizioso.

Ecco come le cucine dei bar e dei bistrot si attrezzano per rendere questo momento remunerativo e una buona vetrina per pranzi e cene fuori.

Filippo Barracano, trainer della Scuola di Formazione Ad Horeca di Bari ci dice la sua. “La ricetta è semplice e veloce. Bisogna preparare prodotti freschi, veloci e salutari. I ristoratori e gli addetti ai lavori scelgono di dare una connotazione rapida all’aperitivo, rispettando la tipologia del locale. Non serve complicarsi la vita in cucina e sala, basta arrivare al tavolo creando l’effetto wow in termini di presentazione e qualità. A richiesta dei ristoratori si punta a piatti instagrammabili, misurandosi con portate belle da vedere, saporite e di espressione territoriale”.

I presidi alimentari e la materia prima non perdono d’importanza anzi, soprattutto la territorialità si racconta anche facendo pairing con il drink quasi espressione di dove si è. Con l’aumento degli spirits premium prodotti a livello artigianale e regionale, con poche bottiglie all’attivo, si riesce a contribuire allo storytelling di una certa località anche solo bevendo. Sapori e colori vengono studiati in drink list per supportare un piatto aperitivo che sia espressione del locale che ospita.

La mixology gode di ottima salute e non molla, ma così come tutto il comparto alcolico si pone delle domande. Meno cocktail alcolici, più ricercati nella mescolanza degli ingredienti, più attenti a presidiare anche in questo caso il territorio. Low alcol quindi, ma anche no alcol, preferiti da da un italiano su dieci (il 4% in più rispetto al 2022). In nome di una maggiore attenzione al benessere psicofisico non mancano alternative a basso contenuto alcolico, quelle che godono di maggiore popolarità tra i 18 e i 24 nella misura del 12%, ma anche il pubblico più consapevole, nel segmento 45-54, si fa strada questa tendenza.

Infine come si sceglie il drink all’aperitivo è presto detto. Il 44% del campione selezionato si regola in base al prezzo, mentre il 31% si affida ai consigli dei professionisti in sala e al bancone. Secondo Niq il restante 24% segue i suggerimenti degli amici affidandosi al passaparola, mentre tra i consumatori più navigati e consapevoli (19%) valutano la qualità e la provenienza dei prodotti. I duri e puri invece, misurati nel 18%, fanno l’aperitivo affidandosi al marchio di ciò che bevono.


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