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La strage dei negozi. Chiuse 430 aziende in undici anni: “Servono più regole” #finsubito prestito immediato


A Rimini oltre 430 aziende nel commercio al dettaglio sono svanite in undici anni. Tante se si pensa che al giugno del 2023 ne erano rimaste 1689. I dati di Confcommercio mostrano come il commercio nel riminese abbia perso tra il 2012 e il 2023 circa il 20% delle proprie attività. Una vetrina su cinque si è spenta. Una lenta agonia accompagnata da soluzioni adottate nel Comune di Rimini per arginare l’emorragia di imprese dovuta alle chiusure, e le proposte “per sopravvivere”, attacca Giammaria Zanzini presidente di Federmoda, “da adottare quanto prima”. Guardando ai numeri ci sono categorie merceologiche che hanno sofferto più di altre. I negozi di abbigliamento, le calzature e articoli in pelle, cosmetici e profumeria, fiori e piante, alimenti per animali, gioiellerie, mobili per ufficio, negozi di ottica e fotografia, ed anche gli articoli di seconda mano hanno subito più di tutti la crisi. Nel periodo preso in considerazione ne sono scomparsi 246 di cui ben 119 nella sola città di Rimini. Il commercio soffre anche nel cuore della città “ma ci sono iniziative che la Regione può prendere per cambiare le cose – ribatte Zanzini -. La legge sugli hub urbani è un primo importante segnale dato dalla Regione, ma serve altro. Chiediamo un garante del commercio per vigilare”. Per il presidente sono tante le cose che non vanno. “Serve un regolamento chiaro sugli outlet, e deve essere fatto rispettare. Oggi questa tipologia può fare di tutto, beneficiano anche dei saldi, assurdo. Dovrebbero essere vendite straordinarie, ma così non è. Serve molta più attenzione anche sulle vendite speciali, quelle attività che vendono tutto in pochi giorni a prezzi stracciati, ma dopo poco tempo sono ancora lì a fare la stessa azione commerciale. Sono vendite sistemiche e non dovrebbero esserlo”. Zanzini vuole tornare a prima del 2012, e non è un modo di dire. “Con il governo Monti è stato liberalizzato l’orario di centri commerciali, factory, iper e così via. La ritengo una follia che ha prodotto danni anche per le donne calpestando la legittima necessità di conciliare i tempi di vita con il lavoro. Mi pare assurdo accorgersene solo l’8 marzo, bisognerebbe invece agire per imporre la chiusura di almeno 22 domeniche l’anno per questi grandi centri commerciali”. A Rimini città, secondo i dati in possesso del Comune, nel post pandemia “si è riusciti a mantenere un equilibrio tra le nuove aperture e le chiusure – premette l’assessore Juri Magrini -. E questo a mio avviso è da legare al particolare dinamismo dell’imprenditoria locale. Come amministrazione comunale abbiamo voluto giocare un ruolo attivo e di alleanza, mettendo in campo misure e supporti per sostenere le imprese. Ad esempio la riduzione del 30% sulla tassa di occupazione del suolo pubblico (ex Cosap) per tutte le categorie economiche che abbiano attuato il progetto Rimini Open Space, che ha permesso ai pubblici esercizi di ampliare gratuitamente gli spazi esterni fino al 50%. A questo si affiancano le agevolazioni che ad esempio stiamo portando avanti sul versante della tassa dei rifiuti (Tari) per le attività del settore turistico, oppure la Sise (ex No Tax Area). Il sostegno alle attività imprenditoriali penso sia passato anche dalla rivitalizzazione dei luoghi del centro storico, come quelli culturali, per la loro attrattività e richiamo turistico”.

Andrea Oliva



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