Un bilancio in chiaroscuro: bene per il Cali Fund, anche se volontario, e per la protezione delle Aree marine di importanza ecologica. Male per i finanziamenti all’attuazione dell’accordo di Kunming-Montreal
La Cop16 sulla biodiversità, svolta in Colombia, si è chiusa con un nulla di fatto. L’unico successo del vertice è stata la nascita del Cali Fund, un fondo (volontario) per compensare i Paesi le cui informazioni genetiche sono utilizzate dall’industria per fare profitti colossali. Altro grande tema al centro della Conferenza era il finanziamento di un fondo per l’attuazione dell’Accordo di Kunming-Montreal (200 miliardi di dollari entro il 2030). Solo alcuni Paesi ricchi (Norvegia e Gran Bretagna i più “generosi”) hanno contribuito in modo consistente (200 miliardi di dollari entro il 2030). Non ci sono stati avanzamenti nemmeno sui parametri da usare per certificare che un Paese abbia messo sotto tutela una certa percentuale della propria biodiversità (con mappe satellitari o altro). E non si è trovato un accordo sulle Nature based solutions, alternative alle tradizionali pratiche industriali, agricole e produttive. Soddisfatti invece i rappresentanti dei gruppi indigeni, che hanno avuto un ruolo centrale nelle discussioni di Cali. Da adesso, i popoli originari e le comunità locali costituiranno un gruppo di lavoro permanente (sussidiario, in termini tecnici) nei negoziati della Convenzione sulla diversità biologica e potranno dunque contare su risorse permanenti.
“È grave e preoccupante – commenta Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente – il mancato accordo su come finanziare la protezione della natura nei paesi poveri con cui si è conclusa a Cali, in Colombia, la Cop16 sulla biodiversità. In un momento storico in cui la crisi climatica ha accelerato il passo, con effetti sempre più impattanti su ambiente e perdita di biodiversità, sarebbe stato fondamentale dare un segnale importante con un solido accordo finanziario lanciando, così, un messaggio chiaro e preciso anche in vista della prossima Cop29 sul clima in programma a Baku, in Azerbaijan, dall’11 al 22 novembre. Invece tutto ciò non è accaduto e ora si rischia di non dare concretezza finanziaria all’accordo di Kunming-Montreal, raggiunto in Canada alla Cop15. Per proteggere il 30% della biodiversità entro il 2030 è chiaro ed evidente che servono risorse economiche e finanziamenti, ma anche interventi strutturati non più rimandabili che a oggi mancano all’appello. Persino il nostro Paese, tra quelli più ricchi di biodiversità, è in ritardo sulla messa in campo di interventi di questo tipo. Ogni ritardo e ogni mancato accordo internazionale è un danno che facciamo al nostro Pianeta, all’ambiente e alla biodiversità che risente della crisi climatica, dell’inquinamento, delle specie aliene e delle attività antropiche. Per questo in vista della Cop29, che inizierà tra una settimana a Baku, lanciamo un appello affinché nel vertice internazionale sul clima si arrivi a un accordo ambizioso sulla nuova architettura finanziaria che metta a disposizione dei Paesi poveri e vulnerabili adeguate risorse per poter tutelare anche la biodiversità e fronteggiare così con più efficacia l’emergenza climatica”.
Per proteggere il 30% della biodiversità entro il 2030 è chiaro ed evidente che servono risorse economiche e finanziamenti, ma anche interventi strutturati non più rimandabili che a oggi mancano all’appello
Per quanto riguarda gli altri punti emersi da questo Cop16, sono poche per Legambiente le luci emerse tra diverse criticità. Tra queste il Cali Fund, fondo che nasce per compensare quei Paesi le cui informazioni genetiche sono utilizzate dall’industria per fare profitti colossali. Mentre i dettagli di erogazione non sono stati ancora definiti, è stato concordato che il 50% del fondo sarà assegnato alle popolazioni indigene e alle comunità locali, direttamente o tramite i governi. È un riconoscimento per i popoli che, per millenni, hanno convissuto, gestito e arricchito la biodiversità attraverso le conoscenze tradizionali. Un fondo che però ancora una volta è su base volontaria senza alcun obbligo e rappresenta, di fatto, l’ennesima criticità in un provvedimento significativo.
L’altro punto di interesse riguarda i passi in avanti nella protezione del mare: nella Cop16 è stato approvato l’accordo globale per identificare e conservare le Ecologically or Biologically Significant Marine Areas (EBSA – Aree Marine di Importanza Ecologica). La notizia è importante anche per l’Italia perché tra le EBSA identificate nel Mediterraneo c’è anche quella degli ecosistemi pelagici del Mediterraneo nord-occidentale che comprende anche il nord della Sardegna, il Mar Tirreno settentrionale, l’Arcipelago toscano, gran parte della costa toscana e la Liguria; ma anche qui non mancano le criticità rappresentate dal fatto che non ci si può accontentare di aree identificate sulla carta. Per dare un contributo fattivo all’obiettivo 30% occorre che si disponga misure e obiettivi di conservazione e che venga istituito un efficace sistema di monitoraggio per valutare l’efficacia della governance, della gestione e delle misure di conservazione della biodiversità.
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