Il meccanismo che contraddistingue la maggior parte delle azioni
fraudolente connesse all’abuso delle agevolazioni fiscali previste
dal Decreto Rilancio (c.d. Superbonus) è
caratterizzato dalla presentazione di fatture per
operazioni di fatto inesistenti, ma idonee a generare un
credito fiscale illegittimo, cedibile e
monetizzabile.
Fatture inesistenti e crediti illegittimi: la Cassazione sulle
truffe Superbonus
Lo spiega la Corte di Cassazione con la
sentenza
del 17 ottobre 2024, n. 38161, con la quale ha
respinto il ricorso contro un’ordinanza di vincolo cautelare
apposta su alcune società, i cui legali rappresentanti erano stati
accusati per i reati di emissione di fatture per operazioni
inesistenti, indebita compensazione, falso, ed illecito reimpiego;
reati consumati attraverso l’abuso delle agevolazioni
Superbonus.
Gli ermellini hanno spiegato che le frodi correlate all’abuso
delle agevolazioni “superbonus” possono – in astratto – essere
dirette sia nei confronti degli Istituti di credito, che dello
Stato, con condotte concorrenti, generando un profitto
identificabile sia nel denaro derivante dalla monetizzazione del
credito, che nella proiezione cartolare di tale credito, ceduto
alle banche.
Integra infatti il fumus del delitto di emissione di
fatture od altri documenti per operazioni inesistenti la condotta
di chi, avendo monetizzato il credito derivante dalla realizzazione
di opere suscettibili di fruire dell’agevolazione fiscale del cd.
“superbonus 110%” mediante la sua cessione o lo “sconto in fattura”
ex art. 121 di. 19 maggio 2020, n. 34, effettui la fatturazione “in
acconto” di spese relative a opere non ultimate o non
certificate, posto che l’emissione di tali fatture mira a
simulare l’esistenza di spese in concreto non ancora sopportate e a
creare fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto
alla detrazione.
Non solo: i crediti di imposta ceduti ai sensi dell’art. 121
d.l. 19 maggio 2020, n. 34 possono dar luogo, in quanto derivanti
direttamente dal diritto originario in capo al committente alla
detrazione d’imposta di “costi in realtà non
sostenuti“, al delitto previsto dall’art. 10-quater, comma
2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, se utilizzati in compensazione dal
cessionario, avendo natura di crediti non spettanti o
inesistenti.
Per quanto riguarda l’emissione di fatture inesistenti, la Corte
specifica che:
- le spese, per poter essere detratte con i vari bonus, devono
essere fatturate e pagate durante il periodo di vigenza dei bonus
stessi; - il fatto che il beneficio fiscale sia condizionato
all’effettiva esecuzione e completamento dei lavori dei lavori – da
effettuare nel rispetto della normativa – non elide la rilevanza
penale della falsa fatturazione funzionale alla creazione del
credito inesistente
Sì al vincolo cautelare sull’impresa che ha fatturato le
spese
Anche se in questo caso mancano le querele degli istituti
di credito che hanno monetizzato i crediti inesistenti e che,
pertanto, i reati di truffa ai danni delle banche sono
improcedibili, è comunque altrettanto vero che è stato dimostrato,
il fumus dei reati di falsa fatturazione, indebita
compensazione, riciclaggio ed autoriciclaggio, il che legittima
l’applicazione del vincolo cautelare contestato.
Questo perché, ai fini dell’adozione della misura cautelare del
sequestro preventivo delle cose pertinenti al reato, finalizzato ad
evitare la protrazione del reato, non è necessario accertare, a
differenza di quanto richiesto per il sequestro ai fini di
confisca, l’esistenza di un “collegamento strutturale” fra il bene
da sequestrare e il reato commesso, in quanto la “pertinenza”
richiesta dal primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. comprende
non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu
commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il
profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla
fattispecie criminosa.
Diversamente, la libera disponibilità dei beni rischia di
aggravare le conseguenze dei reati in
contestazione e di favorire la consumazione di reati di analoga
natura. Ipotesi in questo caso confermata dal fatto che i cantieri
edili gestiti dalle società erano, ancora aperti ed attivi e che
soltanto l’azione dell’amministratore giudiziario nominato dal
tribunale per le misure di prevenzione era riuscita ad arginare la
situazione di allarmante illegalità, motivo per cui l’ordinanza di
vincolo cautelare è stata ritenuta pienamente legittima.
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