Il nostro Paese è il primo in Europa per il finanziamento alle auto aziendali inquinanti a diesel e benzina, avendo garantito agevolazioni fiscali pari a 16 miliardi di euro l’anno. Non è un caso isolato: i primi cinque Paesi europei per questo tipo di finanziamenti (Italia naturalmente inclusa) sono responsabili di qualcosa come 42 miliardi di euro di “sconti”. Ogni anno.
In questa classifica particolare stilata da Trasport&Environment, l’Italia è seguita dalla Germania (per un totale di 13,7 miliardi di euro l’anno), Francia (6,4 miliardi), Polonia (6,1 miliardi) e Spagna (100 milioni l’anno).
Questa pratica sottrae risorse necessarie alla decarbonizzazione della mobilità su strada, un dato particolarmente importante considerando che i veicoli aziendali rappresentano il 60% delle nuove immatricolazioni annuali in Europa.
A mettere in fila i fatti è una ricerca pubblicata a ottobre dalla Federazione europea dei trasporti e dell’ambiente (T&E) sulle politiche fiscali applicate in Europa sulla mobilita aziendale.
“Gli Stati europei, ogni anno, sottraggono ai loro bilanci miliardi di euro per finanziare la mobilità inquinante. Questo ammanco serve a incentivare aziende e dipendenti all’utilizzo di auto fortemente emissive, spesso costosi Suv di fascia alta -ha dichiarato Andrea Boraschi, direttore di T&E Italia-. Si tratta di una politica fiscale dannosa per il clima e socialmente iniqua. L’Italia, che ogni anno rinuncia a 16 miliardi di gettito pur avendo enormi problemi di budget, dovrebbe prendere a esempio il Regno Unito e il Belgio, che hanno introdotto misure fiscali green e stanno eliminando le agevolazioni per i veicoli inquinanti”.
L’analisi di T&E si concentra anche sulla natura di questi incentivi e calcola gli effetti dei vantaggi generalmente concessi alle auto aziendali su quattro leve fiscali: tassazione dei benefit in-kind (benefici di natura non monetaria), ammortamento del costo dei veicoli, detrazioni Iva e carte carburante.
Vantaggi che non sono concessi ai proprietari di auto private. In particolare per quanto riguarda il nostro Paese sono le esenzioni fiscali sui benefit in-kind ad aver costituito il contributo più sostanzioso, per un totale di 10,6 miliardi di euro l’anno. Seguono le carte carburante (circa 4,4 miliardi) e l’ammortamento del costo (610 milioni) e poi la riduzione dell’Iva (361 milioni). Una situazione simile si può trovare in Germania, Francia e Polonia.
Le marcate distorsioni della fiscalità italiana portano vantaggi spropositati. Per il noleggio in leasing di una BMW X3 diesel, ad esempio, azienda e dipendente beneficiano di esenzioni per oltre 21mila euro l’anno.
“Il sistema di tassazione sulle auto aziendali è inefficiente al punto da premiare, in alcuni casi, il leasing di veicoli endotermici rispetto a quello di auto a emissioni zero di pari volume e prestazioni: il noleggio di una VW Tiguan a benzina, considerando la pressione fiscale, costa oltre tremila euro l’anno in meno di quello della sua controparte elettrica”, continua T&E.
Lo studio analizza anche il differenziale economico netto tra l’acquisto privato di un’auto, con corrispettivo aumento di stipendio, e la possibilità di utilizzare quello stesso tipo di veicolo come benefit in-kind concesso dal datore di lavoro.
Le distorsioni riscontrate nei Paesi esaminati fanno sì che per guidare un Suv inquinante si abbia in media un vantaggio fiscale di 8.900 euro; in Italia, caso limite, si arriva a un risparmio sulle imposte di 16.400 all’anno.
In particolare rispetto ai 42 miliardi complessivi di esenzioni nei cinque mercati nazionali esaminati i sussidi ai Suv ammontano a 15 miliardi. In particolare in Italia a questi veicoli sono andati 5,8 miliardi di euro su un totale di 16. Non sorprende quindi che le immatricolazioni annuali di Suv a motore endotermico da parte delle aziende siano il doppio di quelle dei privati. Comodo così.
I citati vantaggi fiscali portano a un ritardo nella decarbonizzazione del parco auto europeo. Nella prima metà del 2024 solo il 13,4% di tutte le immatricolazioni europee era di veicoli elettrici (Bev) con una media leggermente inferiore nel settore aziendale (il 12,4%). Nei Paesi dove i veicoli inquinanti aziendali godono di vantaggi fiscale la diffusione di Bev è molto minore in questo settore rispetto al mercato privato. In Italia esiste una sostanziale parità ma con numeri molto più bassi alla media europea. È invece interessante notare come nel Regno Unito sia proprio il settore aziendale a trainare l’elettrificazione del parco auto.
Ed è proprio questo Paese, secondo T&E, a costituire un modello positivo per la fiscalità del parco auto aziendale. Londra applica un’aliquota elevata sui benefit in-kind che permette allo Stato di incassare 1,5 miliardi di euro l’anno, mentre i possessori di Bev pagano tasse ridotte. Di conseguenza non solo viene incentivata la decarbonizzazione ma il bilancio generale è a favore dell’erario.
Una situazione simile si riscontra in Spagna dove le agevolazioni per il parco aziendale è simile a quello privato grazie anche a un’elevata aliquota sui benefit in-kind. Tuttavia il Paese offre vantaggi minimi per le aziende che scelgono di passare all’elettrico e questo, sempre secondo T&E, spiega il numero non elevato di Bev nelle flotte aziendali (pari al 3,7%).
“Ci aspettiamo che la Commissione europea si attivi per porre fine a questa enorme anomalia fiscale. Ma molto può essere fatto, e in tempi brevi, anche a livello nazionale -ha concluso Andrea Boraschi-. Il Governo Meloni, già con la prossima Legge di Bilancio, può riformare la tassazione dell’auto per privilegiare le tecnologie meno emissive e, soprattutto, per porre fine a una distorsione evidente. Concedere agevolazioni fiscali ad aziende e dipendenti, spesso manager benestanti, per l’acquisto o il noleggio di auto di lusso inquinanti è chiaramente iniquo, oltre che dannoso per il clima e per la salute dei cittadini”.
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