«Cara Unione,
nonostante l’emergenza idrica che negli ultimi anni si è abbattuta sull’Isola e che, oltre a stremare gli animali selvatici, ha favorito anche il disseccamento e il deperimento di lecci, querce da sughero e macchia mediterranea, l’attività venatoria prosegue indisturbata su un territorio boschivo, come quello sardo, che versa in totale sofferenza.
Certo, la Giunta regionale ha dichiarato lo stato di emergenza da deficit idrico (dal 30 luglio al 31 dicembre) e recentemente si è vietata l’estrazione del sughero in tutta l’Isola, si è lanciato anche il coprifuoco fitosanitario nei vivai forestali, tutte misure urgenti atte ad arginare, studiare e salvaguardare il sistema arboreo isolano. Ma oltre alla flora che ne è di quella fauna selvatica che vive all’interno di quello stesso ecosistema tutt’ora in agonia? Come mai non si è provveduto quantomeno a mettere in pausa l’attività venatoria offrendo una tregua anche a tutte quelle specie animali colpite ugualmente da questo scenario drammatico che, si rammenta, è senza precedenti in Sardegna?
Queste le domande che dovrebbero nascere spontanee se si guarda alla natura come un ecosistema. E ancor di più se si considera, appunto, come il cambiamento di un elemento al suo interno come lo stress idrico e il gran caldo, abbia concorso nel causare un’alterazione significativa sull’equilibrio dei parassiti e degli agenti patogeni nelle piante. La stessa relazione di reciprocità la si dovrebbe estendere a tutto l’ecosistema che oltre all’habitat include anche quegli animali che vi trovano rifugio.
Ma l’equilibrio dell’ecosistema naturale probabilmente lo si riconosce solo quando intacca il proprio di profitto. Tutti sanno, infatti, che certi funghi come i porcini possono essere raccolti prevalentemente sotto certe piante come i lecci e le querce proprio perché crescono in simbiosi con le loro radici, una relazione di cui beneficiano entrambe le parti. Così, prendere una pausa anche dalla raccolta fungina dimostrerebbe una certa saggezza da parte di chi si sforzasse di contemplare la visione d’insieme anziché solo il particolare ristretto.
Infatti, anche i cinghiali, i “porcini-mammiferi”, che si nutrono di bacche, frutti e soprattutto di ghiande quale loro fonte essenziale di energia, come si può ben immaginare, non versano certo in uno stato di salute ottimale vista la catastrofe che si è abbattuta anche sulla loro dieta principe. Ma non sarebbero i soli: secondo una ricerca condotta dall’Università della Florida (Holly K. Ober, “The Value of Oaks to Wildlife”) sarebbero più di un centinaio le specie che si nutrono di ghiande. Eppure, l’apertura della caccia non ha risparmiato né i cinghiali né gli uccelli che si alimentano oltre che di insetti dannosi per le piante anche dei loro frutti e che, grazie proprio alle loro deiezioni contenenti semi, contribuiscono alla propagazione di molte specie vegetali. Una popolazione faunistica che con un habitat compromesso sarebbe più che mai da proteggere, evitandogli magari proprio in questo periodo di subire oltre l’ordine di sfratto per crisi ambientale anche le fucilate dei cacciatori.
Non si parlerebbe qui dell’annosa diatriba tra le associazioni animaliste e quelle venatorie, qui si tratterebbe di salire un gradino più in alto e lasciare il campo libero affinché agisca il buonsenso».
Alberto Secchi
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