Nei portafogli delle compagnie tricolore l’investimento nei fondi di credito alternativo non supera il 4% degli investimenti totali. Ma con i tassi in calo e il BTP che non dovrebbe più fare la parte del leone, il quadro potrebbe cambiare.
Sebbene il private credit, cioè l’erogazione di credito alle imprese da parte di investitori istituzionali non bancari, come i fondi specializzati, giochi un ruolo sempre maggiore nel finanziamento dell’economia europea, in Italia ha ancora una presenza marginale, ma ha un grande potenziale di crescita, e una forte spinta in tal senso potrebbe venire dal mondo delle assicurazioni.
E’ questo il segnale inviato in occasione di un incontro tenuto a Milano nei giorni scorsi sul ruolo del private credit a sostegno dell’economia reale, organizzato da Tenax Capital, società di gestione specializzata in reddito fisso e private debt con poco meno di 3 miliardi di euro in gestione, nata nel 2004 e dal 2020 controllata dalla compagnia leader in Portogallo, Fidelidade, controllata della conglomerata cinese Fosun.
Stando ai dati presentati dal direttore generale dell’ANIA, Dario Focarelli, gli investimenti in private debt delle compagnie nel 2023 hanno toccato i 7 miliardi di euro, “di cui circa l’85% è andato a imprese italiane”. Quindi le compagnie italiane già contribuiscono molto. Ma potrebbero fare ancora di più: “Potenzialmente oggi le assicurazioni potrebbero investire in private debt fino a 27 miliardi di euro” ha spiegato nel suo intervento Stefano de Polis, segretario generale dell’IVASS, l’organo di vigilanza sulle assicurazioni italiane.
Secondo i dati di Preqin, i prestiti concessi a fine 2023 ammontavano a 1.620 miliardi di dollari, con una crescita media del 15%, e le previsoni indicano un’ulteriore crescita del 10% da qui al 2029. L’Europa, che a fine 2023 pesava per quasi 300 miliardi di dollari sul totale erogato, non dovrebbe fare eccezione. Il motivo di tale crescita è da ricercare soprattutto nei sempre maggiori vincoli che incontrano le banche ordinarie nel finanziare l’economia, soprattutto sul versante dei requisiti di capitale, sopratutto per non essere di nuovo sommerse da un’ondata di npl come accade nello scorso decennio, quando raggiunsero il picco di 341 miliardi di euro (nel 2015).
E’ il motivo per cui si sta gradualmente imponendo il modello Originate To Share, cioè il cosiddetto Parallel Lending, ovvero l’attività di prestito dei fondi al fianco delle banche, che oggi conta per non meno 36% dell’erogazione di credit nell’Eurozona, secondo i dati calcolati dal gestore Usa specializzato Muzinich (si veda in proposito l’inchiesta sul Direct Lending pubblicata sul N°24 di BeBeez Magazine).
Anche in Italia la richiesta di fondi sta aumentando con decisione, tanto che tutti i principali gestori italiani di private debt si accingono a lanciare nuovi veicoli focalizzati su questa asset class, anche su impulso della Cdp, presente all’incontro di Milano con il responsabile dell’area Corporate e Financial Institutions, Andrea Nuzzi, il quale ha sottolineato che Cdp sta per emettere un nuovo mandato a gestire nel campo del private debt, nel quadro del progetto Economia Reale 2.
La stessa Tenax prevede per l’inizio del prossimo anno di chiudere all’obiettivo di 300 milioni di euro la raccolta del suo Sustainable Credit Fund, lanciato nell’ottobre 2022 (si veda altro articolo di BeBeez) e che sinora ha raccolto 240 milioni, inclusi i 40 apportati nell’estate del 2023 proprio dalla Cdp (si veda altro articolo di BeBeez). Si tratta di un fondo che investe in partnership con Intesa Sanpaolo con quest’ultima che cura l’origination delle operazioni e Tenax che seleziona quelle alle quali è più interessata, anche al fine di evitare asimmetrie informative. “In prospettiva le banche tenderanno a concentrarsi sempre più sull’origination” ha pronosticato nel suo speech Salvatore Poma, responsabile Syndication & Risk Sharing di IMI – Intesa Sanpaolo.
Se quindi i fondi saranno chiamati sempre più spesso a finanziare l’economia, l’attenzione si sposta sulla raccolta. Tuttavia “Oggi investire in un fondo paneuropeo di private credit singifica investire soprattutto in Francia e UK, che nel 2022 hanno rappresentato per l’80% della raccolta e degli impieghi” ha sottolineato nel suo intervento, citando i dati di Preqin, Massimo Figna, fondatore e ceo di Tenax, che ha aggiunto “nel frattempo l’Italia con circa 6 miliardi di euro pesa per non più del 2% della raccolta dell’Eurozona, e per lo 0,1% del pil, che si confronta con il 5,7% del Regno Unito”.
Un gap notevole, che proprio le assicurazioni potrebbero contribuire in misura notevole a riempire. Ma raggiungere la cifra dei 27 miliardi di euro citatal segretario dell’IVASS de Polis non è certo semplice. Ha confidato a BeBeez un dirigente di una delle principali sgr italiane di private debt: “Tante grandi compagnie sono ancora riluttanti a investire in questa asset class, anche perché senza controlli adeguati sull’esposizione ai rischi di credito è facile incorrere nella scure dell’IVASS. Occorre dare trasparenza ai portafogli con possibilità per le compagnie di effettuare il look-through dei portafogli investiti. Gli stessi gestori di fondi devono attrezzarsi in tal senso”.
I vincoli normativi sembrano infatti esercitare un ruolo pesante, soprattutto i requisiti di capitale, più stringenti rispetto ad altri Paesi come la Francia. Una conferma di ciò viene dal Gruppo Generali. “Finora abbiamo investito poco meno di 20 miliardi in fondi di Private Debt, di cui buona parte in fondi francesi” ha riferito Giulio Terzariol, ceo della divisione Insurance del Leone di Trieste,. cui fanno capo società di vari Paesi soggette a diversi requisiti di vigilanza.
E’ anche una questione di rendimenti. Ha spiegato Focarelli a BeBeez: “Il settore assicurativo ha avuto una raccolta negativa sul settore Vita, a causa dell’alto livello dei rendimenti dei Btp che hanno indotto i retail a optare per questi ultimi. Ciò ha limitato la capacità d’investimento delle compagnie”. Le quali hanno fatto la stessa cosa. Basti pensare che i portafogli delle polizze unit- e index-linked a fine 2023 risultavano investiti all’85% in Btp. Tuttavia, i tassi hanno imboccato la discesa, mentre i rendimenti dl private debt hanno per la prima volta superato quelli del private equity, che nello scorso decennio hanno largamente beneficiato dei tassi rasoterra. “Da questo punt di vista potremmo essere alla vigilia di una svolta” ha pronosticato Focarelli.
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