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L’assurda retorica populista dell’extra-profitto | Editoriali opinioni #finsubito prestito immediato














Istantanea da un periodo di crisi: è il 2012 e Sanremo lo conduce Gianni Morandi con alla co-conduzione Rocco Papaleo che, alla prima serata, entra sul palco in loden. Ed è subito effetto Mario Monti, l’allora primo ministro a capo di un governo la cui missione era salvare il Paese dallo baratro economico-finanziario. È l’epoca della ministra  del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero che annunciava la riforma pensionistica e la cui voce s’increspava per poi aprirsi in un singulto di pianto alla parola “sacrifici”, con l’evidente fastidio da parte dello stesso Monti. 


La caduta di Berlusconi


Al tempo agli italiani fu chiaramente espressa tutta la gravità del momento. Tanto da diventare, la faccenda dei sacrifici da fare, un tema nazional-popolare, con tutti i media mainstream impegnati a confezionare porzioni di racconto. Da Sanremo ai vari talk-show politici e di costume. Il Paese era ostaggio della fatidica “lettera Trichet-Draghi”, anche conosciuta come “lettera della BCE all’Italia” del 5 agosto del 201, che ebbe come immediata conseguenza la caduta del governo Berlusconi, con un curioso e, alquanto inquietante, siparietto di sbandieratori in borghese fuori dal Parlamento a festeggiare. Così come comparvero nel tardo pomeriggio, sparirono all’alba. 

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Lacrime e sangue


Oggi non siamo nella stessa drammatica situazione di allora, ma ci attendono anni di lacrime e sangue. E l’immagine che i media stanno pompando a più non posso è la criminalizzazione di quelle realtà imprenditoriali che producono ricchezza. Anzi, hanno l’ardire di produrre “extra-profitti”. La narrazione si sposta dalla necessità di fare sacrifici, alla sfrenata foga di dare la caccia a extra-gettito fiscale da spremere dalle banche e dalle multinazionali. 


Da cosa deriva tutto ciò? Facciamo un passo indietro. Il nuovo Patto di stabilità europeo impone agli Stati di presentare un Piano strutturale di bilancio a medio termine al fine di illustrare alla Commissione europea cosa si intende fare per rientrare dall’eccessivo indebitamento. L’Italia poteva scegliere se presentare un piano in quattro anni, con conseguente riduzione della spesa pari a oltre 20 miliardi all’anno fino al 2028, oppure un piano settennale, con conseguente riduzione della spesa pari a 13 miliardi l’anno fino al 2030. Ha intrapreso la seconda strada, come hanno scritto la stessa premier Giorgia Meloni e il ministro delle finanze Giancarlo Giorgetti nel documento licenziato lo scorso 27 settembre e inviato alle Camere. In estrema sintesi, i disavanzi nazionali non devono superare il 3% del prodotto interno lordo e il debito pubblico nazionale deve rimanere al di sotto del 60% del Pil. Condizioni non semplici da realizzare. Sopratutto perché l’Europa richiederà ai Paesi membri, e quindi anche all’Italia, un dettagliato piano di riforme (sulla falsa riga di quanto già sta avvenendo con il Pnrr) che dovrà essere attuato, sotto lo stretto controllo periodico della Commissione europea. Insomma, ci sono pochi margini di azione. 


Queste sono le precondizioni di quanto sta andando in scena in questo frangente storico. Con un ministro delle finanze che, a contatto con la realtà delle cose e con grande senso dello Stato e profondo rispetto per i cittadini, in un’intervista a Bloomberg parla di sacrifici da fare e una prima ministra che s’indispettisce a sentire la tragica parola. È proprio in questi momenti storici che il populismo s’infrange contro la realtà. Perché, per mantenere lo status quo, tra bonus a pioggia e promesse elettorali, servirebbero almeno 20 miliardi. E la realtà, invece, dice che si dovranno fare tagli per 13 miliardi. E allora, ecco che entra in scena un nuovo mito populista: l’extra-profitto. Ovvero, tassiamo chi ha prodotto profitti oltre una certa soglia, così da riequilibrare la contribuzione e rimpinguare il gettito fiscale. 


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Il populismo distorce il senso delle parole


Il populismo distorce il senso delle cose e, quindi, il significato stesso delle parole. Stando alla narrazione nazional-populista del momento, l’extra-profitto è al pari della lebbra. È una cosa negativa, cattiva, da punire in tutti i modi. E chi produce extra-profitto e ne beneficia è – come avrebbero detto nell’Unione Sovietica stalinista – “враг народа”, ovvero “nemico del popolo”. Ed è questa visione, prettamente e fondamentalmente statalista che contraddistingue l’intero arco costituzionale del Paese, che favorisce una considerazione distorta del mercato. Quasi che chi produca profitto debba pentirsi e pagare più degli altri. Una tendenza tutta italiana che coniuga la dottrina della Chiesa sociale tendenzialmente pronta a condannare il profitto economico, con le tendenze pauperiste del populismo dell’estrema destra e dell’altrettanto estrema sinistra, perfettamente impersonate entrambe dal primo periodo del Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio. Con derive bizzarre che si richiamano alla “decrescita felice” di Serge Latouche.


L’extra-profitto di balneari e tassisti


Ma rimaniamo sul tema “extra-profitto”. Sempre secondo la dottrina economica – perché di questo si parla e non certo di una visione moraleggiante dell’economia – si ha extra-profitto se ci sono specifiche condizioni di mercato: “innovazione”; “controllo del mercato” in relazione a una posizione dominante, tale da poter imporre i prezzi; “barriere all’ingresso”, con un regime o di monopolio o di oligopolio; “scarsità di un bene”. E viene da pensare che, oltre alle “famigerate” banche – da sempre detestate dalla retorica pauperista di destra e di sinistra, assieme alle “multinazionali” – ci sono altre specifiche categorie imprenditoriali che beneficiano di quasi tutte le condizioni che portano all’extra-profitto: i balneari e i tassisti. Due delle lobby più potenti di questo Paese. Questi godono, nell’ordine, del “controllo del mercato”, proprio perché ci sono “barriere all’ingresso” e, in virtù di ciò, “scarsità del bene”. Di “innovazione” manco a parlarne. A malapena utilizzano il Pos. Ma godono sicuramente della protezione dei governi, da destra a sinistra, passando per il Movimento 5 Stelle, tanto che oramai da decenni l’Italia paga multe salatissime per la mancata adozione della direttiva Bolkestein che mira a liberalizzare i mercati.


In fin dei conti, nel confronto con l’Europa, il nostro Bel Paese si scontra con le proprie tare culturali e antichi vizi. Più che andare a caccia di extra-profitti, sarebbe necessario aprire i mercati, promuovere la concorrenza e fare una vera lotta all’evasione fiscale. E si vedrebbero i miliardi di gettito piovere. E sì, perché poi, i veri campioni dell’extra-profitto, sono gli evasori. Quelli non li batte nessuno. 






















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