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L’ auto tedesca sbanda: ecco perché Berlino boccia i dazi alle elettriche cinesi #finsubito prestito immediato


MILANO – Nel giugno scorso la crossover elettrica Mini Aceman, dopo una presentazione al Salone di Pechino e perfetta con le sue dimensioni compatte per il mercato europeo, comincia la produzione nella fabbrica di Zhangjiagang in Cina, joint venture fra Bmw e Great Wall. Nello stesso momento, a quasi diecimila chilometri di distanza, la Commissione europea decide di imporre nuovi dazi a doppio cifra a tutte le auto elettriche importate dalla Cina, che già pagano il 10% (noi paghiamo il 15% ai cinesi). A Monaco, quartier generale del gruppo Bmw cui Mini appartiene, si fanno due conti: la Aceman potrebbe costare un altro 38% in più. Non si uccidono così anche i cavalli?

La questione dei dazi in Europa è l’ultimo capitolo di uno scontro geopolitico con la Cina ed epicentro in Germania, che passa per il prodotto oggi più sensibile, l’automobile a batteria. La quale non tira sui mercati globali come i costruttori vorrebbero, ma che la Commissione europea ha deciso sarà l’unica vendibile dal 2035 nei 27 paesi dell’Unione, salvo rinvii. I nuovi dazi europei, che, dopo che non è stata raggiunta una maggioranza di Paesi in un senso o nell’altro, toccherà alla Commissione Ue confermare o meno, sono una variabile che divide: il governo di Berlino, a fianco di tutti i costruttori tedeschi, è contrario perché teme una guerra commerciale. Restando fra i principali paesi produttori, Francia e Italia sono a favore mentre la Spagna, inizialmente in questo Club Med, ha cambiato posizione in corsa, anche se poi si è astenuta.

Il motivo dell’opposizione tedesca è plurale: la Germania è il paese europeo storicamente più in affari con la Cina, la sua economia non sta tanto bene e nemmeno il gruppo Volkswagen, il colosso che sembra soffrire più di altri la contrazione dei mercati nella transizione elettrica. Il primo accordo fra Germania e Cina nell’industria dell’auto risale giusto a 40 anni fa, quando nell’ottobre del 1984 in seguito a una visita di stato del cancelliere Helmut Kohl a Pechino, Saic e Volkswagen firmano la prima joint venture. Le regole stabilite dai cinesi sono 50 e 50, know how tedesco e manodopera economica locale. Unico modo per entrare nell’immenso mercato orientale per uno straniero, da dove però tornano in Germania profitti crescenti. Sarà poi Angel Merkel, nel suo quindicennio di governo, a legare economicamente il paese mani e piedi alla Cina.

Ora, la storia insegna che le politiche protezionistiche sono sempre state perdenti, per tutti. Ma certo fa effetto sentire il cancelliere Olaf Scholz chiedere insistentemente a Bruxelles una “amichevole” soluzione sui dazi per le elettriche importate dalla Cina, come leggere sulla Tagesspiegel le parole del ministro dei

Trasporti Volker Wissing: “Sarebbe una catastrofe per la Germania e non ci sarebbe un beneficio per nessuno in Europa”.

Oliver Zipse, Ceo del gruppo Bmw, ha usato parole altrettanto forti, definendo la decisione della Commissione europea – basata su un’indagine secondo cui i costruttori cinesi sono sostenuti dal loro governo in modo tale da falsare la corretta competizione commerciale – “una strada sbagliata”. Qualcosa è servito: per la Mini Aceman, i dazi sono scesi al 20,8% e potrebbero essere ancora tagliati per tutti. La revisione di Bruxelles fa parte della trattativa in corso e dovrebbe premiare in particolare quei costruttori cinesi che più collaborano all’inchiesta, rispondendo alle domande dei funzionari europei. “Strada sbagliata”, per inciso, è quanto detto in modo altrettanto convinto dal Ceo di Mercedes Ola Källenius in una intervista al Financial Times. Aggiungendo che è il mercato, bellezza e che la libera competizione è meglio. Soprattutto se la Cina passasse dalle minacce ai fatti, con ritorsioni doganali sull’import di motori dai 2500 di cilindrata in su, l’oro del made in Germany.

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La crisi del gruppo Volkswagen, che procedendo troppo lentamente a una riduzione dei costi ha minacciato di chiudere una fabbrica se non due in Germania, ha reso incandescente la questione doganale Europa-Cina. Anche perché il mercato dei veicoli elettrici rallenta ovunque e la concorrenza cinese, sostenuta dal governo, riduce margini e spazi. Tanto più in Germania, dove gli incentivi pubblici all’acquisto sono stati interrotti bruscamente nel dicembre scorso provocando uno stallo. Il caso Volkswagen potrebbe spingere il governo Scholz, per altro indebolito dall’esito elettorale in alcuni Land, a mettere mano al portafoglio con nuovi aiuti di stato sull’elettrico per le aziende e forse anche per i privati.

Le due partite si intrecciano e vanno affrontate in tempi brevi. Secondo uno studio di Vda, l’associazione dei costruttori tedeschi, l’anno scorso il valore dell’export di auto dalla Germania alla Cina è stato tre volte più grande di quello dell’import, mentre il valore dell’export di componentistica auto tedesca è stato quattro volte superiore a quello dell’import cinese. Alle dogane non è in ballo mica un fiorino.



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