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Manovra, arriva la “tassa” sui procedimenti di cittadinanza #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Nella Manovra 2025, il governo italiano vuole introdurre una doppia stretta sulle agevolazioni fiscali per i lavoratori immigrati e introdurre una “tassa” sui procedimenti di cittadinanza.

L’obiettivo dichiarato di queste misure, presentate nel disegno di legge di bilancio depositato alla Camera, è ridefinire i costi per gli immigrati extra Ue che vivono e lavorano in Italia, che da circa un decennio tengono a galla la preoccupante demografia del Paese.

Stop alle detrazioni fiscali per i familiari a carico all’estero

La prima misura riguarda l’abolizione delle detrazioni fiscali per i familiari a carico residenti all’estero. A partire dal 1° gennaio 2025, i contribuenti che non sono cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea (o che non fanno parte dello Spazio Economico Europeo) non potranno più beneficiare di agevolazioni fiscali per familiari rimasti nel loro Paese d’origine. Questa decisione potrebbe impattare lavoratori come badanti e assistenti domiciliari, una categoria ampiamente rappresentata in Italia e spesso composta da migranti che lavorano in regola e pagano le imposte nel nostro Paese.

Traducendo la norma in termini pratici, un lavoratore o una lavoratrice extra comunitaria che lavora in Italia e ha la famiglia nel Paese di origine non potrà più usufruire delle detrazioni fiscali per i familiari. Non avrà quindi accesso alle agevolazioni attualmente riconosciute, che prevedono riduzioni fiscali per coniugi non legalmente separati e per i figli a carico, per un massimo di 950 euro per ciascun figlio, compresi quelli riconosciuti fuori dal matrimonio o adottati. Il timore è che questa novità possa portare molti lavoratori stranieri a valutare l’impatto fiscale del loro impiego in Italia e, in prospettiva, a rivalutare la permanenza nel nostro Paese.

La nuova tassa per le pratiche di cittadinanza

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Oltre alla stretta fiscale, la manovra impone un nuovo costo per chi desidera ottenere la cittadinanza italiana. Dal 1° gennaio 2025, per le controversie riguardanti il riconoscimento della cittadinanza italiana, sarà richiesto un contributo unificato di 600 euro per ciascuna parte ricorrente. Questa cifra si somma ai 250 euro e ai 16 euro di marca da bollo già necessari per presentare la domanda. La norma prevede che il contributo sia dovuto per ciascuna parte ricorrente, anche in caso di domande congiunte nello stesso giudizio.

Il tutto a qualche settimana di distanza dal dibattito politico-culturale sul diritto di cittadinanza, foriero anche di divisioni tra la Lega del vicepremier Salvini e Forza Italia dell’altro vicepremier Antonio Tajani. Le dinamiche demografiche dell’Italia, caratterizzate da una popolazione sempre più anziana e da tassi di natalità in calo, evidenziano l’importanza dei contributi sociali ed economici degli immigrati nonostante anche la loro fertilità sia calata nel corso degli anni, in Italia.

Il ruolo dell’immigrazione sulla demografia italiana

L’Italia sta affrontando una sfida demografica importante: con una popolazione in costante invecchiamento e una natalità ai minimi storici, i lavoratori stranieri rappresentano una risorsa vitale per il mercato del lavoro e per il mantenimento del sistema di welfare. Come evidenzia il report demografico dell’Istat, nel 2023, “Le migrazioni con l’estero giocano un ruolo importante nel contesto demografico del Paese. Nel 2023, oltre a contrastare il calo della popolazione con un saldo migratorio che compensa, quasi del tutto, il saldo naturale negativo, esse contribuiscono a rallentare il processo di invecchiamento”.

Dopo il record di sbarchi registrato nel 2023, al 1° gennaio 2024 i residenti stranieri erano 5 milioni e 308 mila unità, +166 mila individui (+3,2%) rispetto all’anno precedente. Questo aumento, che rappresenta il 9% della popolazione totale, potrebbe non proseguire. Sin da subito, l’esecutivo Meloni ha ribadito la sua linea anche con le parole della ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella: “Non possiamo sostituire la natalità con l’immigrazione”.
Nel 2024, come dimostrano il cruscotto informativo del ministero degli Interni, c’è stato un crollo degli sbarchi in Italia: dall’inizio dell’anno al 23 ottobre 2024 i nuovi ingressi sono stati 55.036 contro i 141.578 registrati nell’intero anno 2023.

Una distribuzione non omogenea e la fuga dei giovani

Bisogna considerare che la ripartizione geografico degli immigrati non è omogenea lungo la penisola. Così come non lo è quella autoctona che registra da decenni una forte migrazione interna. Secondo il report demografico Istat, nel 2023 il Mezzogiorno, contava solo 897mila residenti stranieri (16,9%), con un’incidenza del 4,5%.
Dati anni luce distanti da quanto succede al Nord, scelto come meta dal 58,6% degli immigrati stranieri nel 2023, ovvero 3 milioni e 109 mila persone. Un’incidenza dell’11,3%, più che doppia rispetto a quella registrata al Sud. Situazione analoga al Centro, con un milione e 301 mila individui (24,5% degli immigrati nell’anno), ovvero l’11,1% della popolazione totale.

A lungo termine, un minore afflusso di lavoratori immigrati potrebbe avere effetti negativi sulle dinamiche demografiche italiane. Meno immigrati significherebbe un calo della popolazione attiva e una maggiore difficoltà nel sostenere le spese del welfare, soprattutto in un contesto in cui l’età media continua a crescere. Le barriere economiche e burocratiche per ottenere la cittadinanza potrebbero inoltre limitare la stabilizzazione dei residenti stranieri, rendendo difficile il processo di integrazione e aumentando la mobilità dei lavoratori stranieri verso altri Paesi europei che offrono condizioni di permanenza più favorevoli.

L’Italia è il Paese europeo con il più basso tasso di attrattività giovanile. Per ogni giovane europeo che sceglie di venire a vivere in Italia, otto italiani se ne vanno. Con una capacità attrattiva del 6%, l’Italia si posiziona in coda rispetto alla Svizzera, che accoglie il 34% dei giovani europei, e alla Spagna, che si attesta al 32%. Inoltre, tra i giovani italiani che emigrano, il 50% è laureato e un terzo diplomato, con una marcata prevalenza di partenze dal Nord Italia, evidenziando come il fenomeno coinvolga principalmente giovani altamente qualificati.

I dati del Rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est e presentato il 23 ottobre obbligano a delle riflessioni che la crisi demografica rende urgenti. Dal 2011 al 2023, l’Italia ha perso sempre più giovani: circa 550 mila italiani tra i 18 e i 34 anni hanno deciso di lasciare il Paese per stabilirsi all’estero. Questo numero, se corretto per i rientri, si riduce a 377 mila, ma il fenomeno resta allarmante: si stima una perdita di 134 miliardi di euro di capitale umano negli ultimi tredici anni. L’87% degli expat valuta positivamente l’esperienza all’estero e solo un terzo tornerebbe in Italia.

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Chiamarla fuga dei cervelli è riduttivo: è anche fuga di mani, di speranze e di famiglie che scelgono l’estero per vivere la propria vita.



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