Le conseguenze della bolla speculativa generata dal Superbonus per le ristrutturazioni, l’effetto della Direttiva europea voluta per eliminare le emissioni di CO2 degli edifici abitativi e il calo demografico stanno creando una situazione critica nel settore dell’edilizia residenziale.
Il costo del Superbonus, stimato dall’Enea in circa 123 miliardi di euro, dovrà essere coperto attraverso almeno cinque leggi finanziarie future, mediante riduzioni di spesa pubblica o nuove entrate fiscali, per rispettare i limiti di deficit e debito imposti dal nuovo Patto di Stabilità europeo. La legge di bilancio del 2025, di recente approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, prevede una marcata diminuzione delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni abitative, scendendo dal 50% al 36% per le spese sostenute, eccetto che per la prima casa, e mantenendo il 50% ma con restrizioni aggiuntive per i redditi medio-alti.
L’analisi costi-benefici del Superbonus 110% sul PIL e sul risparmio energetico è ancora oggetto di dibattito. Nel settore dell’edilizia residenziale, la spesa pubblica impegnata, equivalente a circa 12 anni delle precedenti detrazioni, ha permesso la ristrutturazione di quasi mezzo milione di abitazioni (4,1% del patrimonio abitativo). Tuttavia, la speculazione sui prezzi dei materiali e dei servizi, insieme ai costi di intermediazione bancaria e agli oneri di progettazione e certificazione, hanno annullato i vantaggi per i committenti rispetto alle vecchie detrazioni. L’impatto positivo sul PIL è confermato dalle statistiche, ma è attribuibile unicamente alla spesa pubblica dei tre anni di validità del provvedimento, che dovrà essere ridotta negli anni a venire per ammortizzare i costi del Superbonus, con possibili effetti negativi sulla domanda interna di beni e servizi.
La riduzione delle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni abitative si sovrappone all’implementazione della Direttiva europea 2024/1275, nota come “Case Green”, che definisce obiettivi, tempi e metodi per eliminare i costi energetici e le emissioni di CO2 del patrimonio abitativo dei 27 stati membri, con l’obiettivo di risparmiare l’equivalente di 30 milioni di tonnellate di petrolio all’anno entro il 2050. Entro il 2025, i governi nazionali dovranno presentare un piano di attuazione che rispetti anche gli obiettivi intermedi per l’efficienza energetica degli edifici (-16% nel 2030 e -22% nel 2035), dando priorità agli edifici pubblici e a quelli privi di certificazione energetica.
Per raggiungere questi obiettivi, alcune ricerche stimate prevedono un fabbisogno d’investimenti non inferiore ai 500 miliardi di euro, con impatti diversi a seconda della quantità e delle caratteristiche degli edifici coinvolti. Il nostro paese, nonostante le numerose esenzioni concesse per le abitazioni nei centri storici, è particolarmente vulnerabile data la quantità di edifici potenzialmente coinvolti, circa 5 milioni su un totale di 12, e l’antichità degli stessi. La percentuale di edifici considerati energivori (classi F e G), che rappresentano l’obiettivo prioritario degli interventi di efficientamento secondo la Direttiva, è del 60% rispetto al 45% della Germania e poco più del 20% di Spagna e Francia.
L’Osservatorio del Politecnico di Milano stima un fabbisogno di circa 180 miliardi di euro di investimenti, il 40% dei quali destinati alle abitazioni energivore. Chi si assumerà questi costi? Le istituzioni europee non prevedono fondi specifici per incentivare gli interventi. Inoltre, i vincoli di certificazione energetica imposti dalla Direttiva potrebbero deprezzare il valore degli immobili energivori o privi di certificazione, influenzando sia le valutazioni immobiliari nelle compravendite sia quelle utilizzate dalle banche per erogare i mutui.
La situazione italiana è complicata ulteriormente dalle dinamiche demografiche e da un patrimonio abitativo che supera di gran lunga il fabbisogno di prime abitazioni. Ogni anno si verifica un trasferimento di oltre 100 mila euro in valori finanziari e patrimoniali per eredità a generazioni che già possiedono abitazioni. Il declino demografico sta causando lo spopolamento di interi paesi nelle aree interne, in particolare nel Sud Italia.
Queste dinamiche sono spesso ignorate dalla classe dirigente che, al meglio, tenta di mitigare le conseguenze di decisioni errate prese in passato.
Il paradosso della strategia europea per la transizione digitale e ambientale risiede nell’imposizione di obiettivi ambiziosi accompagnati da restrizioni poco realiste, senza considerare adeguatamente le conseguenze e i costi per chi dovrà sostenerli. L’Italia soffre la mancanza di un programma realistico di valorizzazione del patrimonio che consideri l’evoluzione delle esigenze demografiche e la necessità di mobilizzare investimenti privati.
Nonostante il declino demografico, gli investimenti per il miglioramento del patrimonio abitativo continueranno a essere un importante motore economico, anche per l’innovazione di materiali, prodotti e servizi per l’intero sistema produttivo. La necessità di elaborare un piano nazionale per l’attuazione della Direttiva Case Green può offrire l’opportunità di definire una politica meno improvvisata e più attenta ai bisogni della popolazione e del territorio.
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Tags: SuperbonusGoverno Meloni
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