ROMA – Con Ordinanza N. 27182/2024 pubblicata il 21.10.2024 la Corte Suprema di Cassazione Sezione Lavoro ha rigettato il ricorso proposto da un dirigente medico dell’ASL Lecce, rappresentata e difesa dagli Avvocati Maria Cristina Basurto e Loredana Macrì. Il giudice di legittimità già da tempo aveva chiarito, riaffermando nell’Ordinanza odierna, che l’esegesi del quadro normativo e contrattuale non consente di estendere ai dirigenti in generale, ed alla dirigenza medica in particolare, norme e principi che regolano il rapporto di lavoro non dirigenziale (v. Cass. n. 19718/2023 e Cass. n. 3483/2019, nonché la giurisprudenza richiamata dalle suddette pronunce). Conseguentemente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di riaffermare il principio di diritto del “ruolo unico” della Dirigenza, ivi compresa quella sanitaria.
In particolare la corte ha evidenziato che l’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 cod. civ., sancita dall’art.19 del d.lgs. n. 29/1993, come modificato dall’art. 13 del d.lgs. n. 80/1998, discende dalla peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 cod. civ., sancita dall’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, era già stata affermata dall’art. 19 del d. lgs. n. 29/1993, come modificato dall’art. 13 del d. lgs. n. 80/1998, e discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, ma esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Per le medesime ragioni non è applicabile al rapporto di lavoro dirigenziale l’art. 52 del d. lgs. n. 165/2001, riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è invece riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II. Per la dirigenza sanitaria il principio è ribadito dall’art. 15 del d.lgs. n. 502/1992 (come sostituito dall’art. 13, comma 1, del d. lgs. 19 giugno 1999, n. 229), secondo cui la dirigenza sanitaria è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, nonché dall’art. 15 ter (aggiunto dal medesimo art. 13, comma 1, del d. lgs. n. 229/1999) comma 5, secondo cui il dirigente preposto ad una struttura complessa è sostituito, in caso di sua assenza o impedimento, da altro dirigente della struttura o del dipartimento individuato dal responsabile della stessa struttura ed alle predette mansioni superiori non si applica l’art. 2103, primo comma, cod. civ.
Trova dunque applicazione l’art.24 del d.lgs. n.165/2001, che in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha delegato alla contrattazione collettiva la determinazione del trattamento retributivo del personale con qualifica dirigenziale, da correlarsi quanto al trattamento accessorio alle funzioni attribuite, ed al comma 3 ha fissato il principio di onnicomprensività, stabilendo che il trattamento medesimo “remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa”.
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