In viaggio tra le strade della città dove al posto dell’asfalto c’è il tipico pavé, i lastroni in porfido che già dall’Ottocento definiscono l’estetica milanese. Ma la mobilità cambia e quei masselli si alzano
L’ultimo caso risale a martedì 22 ottobre. Andrea Bestetti, un noleggiatore con conducente, rompe il fondo della sua Bmw in via Meravigli, pieno centro città. Sente un rumore forte mentre guida. Si ferma, scende e capisce: ha urtato un massello del pavé che si era staccato dalla pavimentazione. Nulla da fare. Chiama i vigili. E va pure peggio: multa-beffa da 42 euro per non aver arrestato tempestivamente la marcia evitando l’ostacolo. Si va indietro di dieci giorni, è il 12 del mese, e un tassista con a bordo un cliente nella stessa via si ribalta. Un lastrone sollevato gli fa fare capolino sdraiando l’auto bianca su un fianco. Entrambi ne escono fortunatamente illesi.
Eppure quelle pietre di porfido, sulle strade cittadine già dall’Ottocento, sono un’icona dell’estetica milanese. Segnano alcune vie, anche dall’alto: basta uno sguardo veloce alle mappe del cellulare per individuarle. Ma due secoli fa, quando si avviavano i primi tram elettrici e le strade erano percorse da carrozze, era altra storia. Adesso da via Pagano a corso di Porta Romana, passando per via Pontaccio, corrono mezzi pubblici più pesanti, tante macchine, camion e furgoni della logistica che convivono con biciclette, monopattini elettrici, pedoni. Sarà forse capitato a qualcuno di girare il manubrio per evitare che la ruota si incastri tra le fessure dei masselli o che finisca nei binari del tram di via Torino. Perché, sì, pavé e «ferrovie urbane» vanno quasi sempre in parallelo. Il colpo è imprevedibile. Lo sa l’autista del suv ibrido che nel maggio scorso in via Rubens, in zona De Angeli, ha urtato una lastra che si era sollevata e che, come conseguenza dei danni, aveva incendiato l’auto.
Il Comune è consapevole della difficile convivenza tra antico e moderno. Tra ciò che è considerato quasi un monumento storico della città ma al tempo stesso la rende «pericolosa». Gli interventi si dividono in manutenzione ordinaria, affidata a Mm, che prevede per intenderci il riposizionamento del massello che esce di posto, e quella straordinaria. Uno degli ultimi casi in questo senso è il cantiere avviato in estate in via degli Orefici per il ripristino della pavimentazione e il rifacimento dei binari. Un nuovo «armamento» per riqualificare il fondo stradale. I lavori di routine sul pavé tra il 2020 e il 2022, ultimi dati disponibili, sono stati 5.549, per oltre il 70% (3.950) nel Municipio 1. I numeri non sorprendono. In città le lastre in porfido resistono soprattutto nelle zone centrali. La ragione: meno passaggi di mezzi pesanti.
È infatti la pressione continua a cui sono sottoposti i masselli il motivo per cui si alzano. E «feriscono». «È l’effetto “pumping” dovuto al passaggio di tram, camion e furgoni — spiega Maurizio Crispino, professore di costruzione di strade, ferrovie e aeroporti del Politecnico —. Si cosiddetti mezzi pesanti, e anche le macchine, l’acqua che si infiltra tra le fessure dei masselli viene pressata ed esce portando con sé la sabbia e gli altri materiali fini che fungono da base d’appoggio per le lastre. Che a quel punto non possono più stare al loro posto». Quale potrebbe essere dunque la soluzione? «Bisognerebbe sigillare gli spazi tra i masselli — continua Crispino —. E poi dovremmo domandarci: se si investe sulla cosiddetta mobilità dolce, forse andrebbero anche fornite le strutture compatibili con quegli spostamenti. Mentre il pavé è spesso scivoloso e irregolare».
Per gli attivisti di Città delle persone, rete che raccoglie diverse associazioni per una realtà più vivibile, «dovremmo rallentare l’evoluzione per poter tornare a considerare l’estetica tipica di Milano».
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