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Senza il pagamento dei debiti tributari niente patteggiamento della pena #finsubito prestito immediato


Ai fini dell’applicazione della pena, in misura ridotta, per effetto dell’ammissione al rito del patteggiamento, occorre aver adempiuto agli obblighi tributari e, conseguentemente, estinto tutti i relativi debiti.

Principio, questo, che sembrava essere pacifico, stante il chiaro dettato normativo e la ormai costante giurisprudenza di legittimità, pronunciatasi sul punto.

Al contrario, il tema è tornato alla ribalta, con una recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione penale, n. 37939/2024, con la quale i giudici ribadiscono il rapporto di dipendenza intercorrente fra l’applicazione della pena su richiesta delle parti rispetto all’adempimento dei debiti tributari.

Per una prospettazione integrale della verità storica e un più adeguato orizzonte fattuale sulla scorta del quale i giudici di legittimità hanno deciso, si appalesa necessaria una breve, ma completa analisi, dei fatti posti all’attenzione della Corte.

La Procura Generale presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Giudice delle indagini preliminari, il quale aveva applicato, su accordo delle parti, la pena sospesa di 9 mesi di reclusione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000.

Come noto, l’articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000, così come introdotto dal D.Lgs. 158/2015, nella sua formulazione antecedente alla recente riforma (D.Lgs. 87/2024) richiedeva espressamente, per l’applicazione della pena in misura ridotta anche ai delitti tributari, ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. (c.d. “patteggiamento”), l’estinzione dei debiti fiscali, mediante integrale pagamento degli importi dovuti anche con ravvedimento operoso o a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

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In altri più specifici termini, in materia di delitti tributari, l’applicazione della pena, ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., può essere disposta solo allorquando ricorra la circostanza di cui all’articolo 13, comma 1, D.Lgs. 74/2000, ovverosia in caso di intervenuta estinzione dei debiti tributari, mediante l’integrale pagamento degli importi dovuti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

Tale norma non trova applicazione per i reati di dichiarazione infedele (articolo 4, D.Lgs. 74/2000), omessa dichiarazione (articolo 5, D.Lgs. 74/2000), omessi versamenti (articoli 10 bis e 10 ter, D.Lgs. 74/2000) o indebita compensazione (articolo 10 quater, D.Lgs. 74/2000).

Su tale punto, la Procura generale “costruisce” l’impugnativa avverso la sentenza, lamentando il vizio del decisum per inosservanza della disposizione, di cui all’articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000.

Altra censura formulata dall’accusa, riguardava la mancata applicazione, da parte della gravata sentenza, della confisca per equivalente, obbligatoria anche in ipotesi di sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, accoglie integralmente le eccezioni formulate dalla Procura, affermando l’illegalità della pena comminata dal giudice.

La nozione di pena illegale riguarda la pena che, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, con la conseguenza che, così come stabilita dal giudice, si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio, come delineato dal Codice penale, con conseguente natura di illegalità.

In altri più specifici termini, chiarisce la Corte, la pena illegale non corrisponde alla pena tipizzata, ovverosia prevista normativamente, per assenza del presupposto di legge.

Secondo la Corte, la decisione gravata sintetizza gli aspetti caratterizzanti della pena c.d. illegale per un duplice ordine di ragioni.

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Nel caso in esame, precisa la Corte, la sentenza emessa dal GIP, in applicazione della pena su richiesta delle parti, è stata pronunciata in relazione al reato di cui all’articolo 81 cpv. c.p. e articolo 2, comma 1, D.Lgs. 74/2000, in assenza di dimostrazione circa il presupposto dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, con la conseguenza che non avrebbe potuto essere applicata la diminuzione fino al terzo della pena, per violazione del disposto del comma 2, dell’articolo 13-bis, del citato D.Lgs. 74/2000, che ne determina l’illegalità della pena.

Ad analoghe conclusioni, si giunge anche con riferimento alla mancata applicazione della confisca per equivalente.

Secondo il giudice di legittimità, il GIP, pur avendo pronunciato sentenza di applicazione della pena per il reato, commesso in data successiva all’entrata in vigore della L. 244/2007, ha omesso di provvedere sulla confisca per equivalente relativamente al profitto del reato, violando il chiaro disposto di cui all’articolo 12-bis, D.Lgs. 74/2000, secondo cui nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 c.p.p. per uno dei delitti aventi natura penal – tributaria, è sempre ordinata la confisca dei beni, che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato o a questo non direttamente riconducibile.

Al solo fine di completezza si precisa che, nelle ipotesi in cui non sia possibile procedere con la confisca di beni, si aggrediscono altre disponibilità del reo, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

Sulla base di tali assunti, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio, con restituzione degli atti al Tribunale.

La sentenza, seppur di limitata portata innovativa, ha l’indiscusso merito di aver confermato l’orientamento maggioritario e motivato con maggiore incisività le ragioni sottese al garantismo difeso dalla giurisprudenza di legittimità.

La soluzione affermata dalla Corte, in effetti, risolve in una situazione di perfetto equilibrio, ovverosia l’esigenza della garanzia del gettito erariale e la possibilità per il contribuente imputato di accedere al rito del patteggiamento, con conseguente possibilità di beneficiare dello sconto di pena ed eventualmente della sospensione condizionale.



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