La vicenda arrivata all’attenzione della Corte di Cassazione civile (ordinanza n. 26514 dell’11/10/2024) prende il via dal licenziamento per giusta causa di un lavoratore, dipendente di un supermercato, accusato di non avere utilizzato in modo corretto i permessi previsti dalla Legge n. 104/1992 per l’assistenza a familiari con disabilità.
In particolare, a seguito di un controllo a campione disposto dal datore di lavoro, era stato addebitato al dipendente che in tre giornate i permessi in questione non erano stati fruiti in riferimento al turno dalle ore 8 alle ore 14:30, ossia l’arco temporale durante il quale il lavoratore avrebbe dovuto prestare la sua attività lavorativa all’interno dell’esercizio.
Pertanto, l’azienda aveva contestato al lavoratore l’abuso del diritto per non aver dedicato a sua madre invalida la dovuta assistenza e di conseguenza, ritenendo violati i principi di correttezza e buona fede, lo aveva licenziato per giusta causa.
Il recesso veniva impugnato dal dipendente, con il c.d. Rito Fornero, avanti il Tribunale del lavoro di Palermo che, sia nella fase sommaria che in quella definitiva, annullava il licenziamento disponendo la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed il conseguente risarcimento del danno per le mensilità medio tempore maturate.
La decisione veniva però riformata dalla Corte di Appello di Palermo che, di contro, ha reputato sussistente, nel comportamento del lavoratore, un abuso di diritto, ritenendo che non potessero essere accettate le sue giustificazioni per le quali il supporto al familiare con disabilità non doveva essere necessariamente esercitato nella fascia oraria del turno di lavoro assegnato ma doveva essere riferito a tutta la giornata di permesso.
La sentenza della Corte di Appello è stata impugnata dal lavoratore avanti la Corte di Cassazione per una serie di motivi riconducibili al riconoscimento della facoltà di modulare liberamente tempi e modalità dell’assistenza al familiare, senza interferenze da parte del datore di lavoro.
Nell’accogliere il ricorso, i giudici della Suprema Corte hanno fissato alcuni importanti principi, già prevalenti nella recente giurisprudenza di legittimità e di merito, che potranno essere sicuramente d’ausilio e orientamento in questa materia in cui il contenzioso è sempre stato piuttosto nutrito, con soluzioni a volte contrastanti.
Così, dopo avere ricordato che la formulazione dell’art. 33 della L. n. 104/1992 nulla prevede in riferimento alle modalità di fruizione dei permessi, la Cassazione ha chiarito che:
– l’assistenza al familiare disabile può essere fornita nell’arco dell’intera giornata, non spettando al datore di lavoro il potere di controllare le modalità di esercizio della stessa;
– il datore di lavoro, sussistendone i presupposti, può comunque reagire a eventuali abusi se incidenti sull’organizzazione lavorativa e sul dovere di buona fede e correttezza;
– le esigenze organizzative del datore di lavoro non possono comunque incidere sulla scelta del lavoratore dei giorni in cui fruire dei permessi;
– la scelta dei giorni di permesso deve essere comunicata al datore di lavoro ma non è soggetta al suo gradimento o alla sua discrezionalità;
– il datore di lavoro non può sindacare, in assenza di accordi tra le parti sociali, la scelta delle giornate in cui esercitare l’assistenza al disabile, e quindi tale scelta si pone al di fuori degli obblighi di diligenza e fedeltà del lavoratore;
– non integra abuso di diritto la prestazione di assistenza al familiare disabile in orari non integralmente coincidenti con il turno di lavoro, in quanto si tratta di permessi giornalieri su base mensile e non su base oraria.
Su questi presupposti la Corte ha dunque cassato la sentenza della Corte di Appello di Palermo, rinviando alla stessa per una nuova decisione che dovrà attenersi ai principi sopra enunciati.
Come si è già accennato, l’orientamento attuale della giurisprudenza sembra privilegiare le esigenze di assistenza familiare rispetto a quelle organizzative del datore di lavoro.
Si veda, ad esempio, la – quasi contestuale – ordinanza della Cassazione civile n. 26417/2024 che, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha avvalorato l’illegittimità del licenziamento di una lavoratrice (anche in questo caso dipendente di un supermercato) che nei giorni di permesso, pur essendosi recata dal padre disabile soltanto per poco tempo, aveva comunque svolto altre attività nel suo interesse (spesa, poste, farmacia, medico).
Ancora, con motivazioni analoghe, è stato ritenuto illegittimo il licenziamento di una lavoratrice accusata di avere dedicato all’assistenza della madre soltanto alcune ore di quelle coperte dai permessi, mentre, nel corso del giudizio, era risultato che si era recata presso l’abitazione del genitore per un buon numero di ore, pur essendosi fermata in un mercatino per alcuni acquisti (Cass. civ. n. 24130/2024).
In questi casi, secondo i giudici di legittimità, pur ritenendo che l’utilizzo fraudolento dei permessi ex Legge 104 possa costituire giusta causa di licenziamento, occorre valutare in modo flessibile, caso per caso, se tali finalità siano compatibili con le attività inerenti alla sfera privata del lavoratore che assiste il familiare con disabilità.
Questa impostazione è stata seguita anche dalla Corte di Cassazione penale per la quale chi usufruisce dei permessi retribuiti ex Legge 104, non è per questo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa; tuttavia, non si possono utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza prestare alcuna assistenza al familiare disabile e, di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che utilizza i permessi per recarsi all’estero in viaggio di piacere (Cass. pen. n. 54712/2016).
Sono state ritenute attività compatibili con la corretta fruizione dei permessi ex Legge 104:
– assentarsi dal domicilio del familiare che si assiste per trascorrere due ore al parco a leggere un libro (Cass. civ. n. 7303/2024);
– accompagnare al mare la moglie sofferente di asma e per portare il cane dal veterinario, sgravando così il coniuge di una attività (Cass. civ. n. 12679/2022);
– provvedere alla spesa o ad altre attività collaterali, considerato che la nozione di assistenza non deve essere intesa come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente (Cass. civ. n. 22643/2024; nello stesso senso sono anche Cass. civ. n. 2235/2023 e Cass. civ. n. 23891/2018);
– la partecipazione a corsi di formazione sulla malattia di cui è affetto il familiare con disabilità (nella specie alzheimer), al fine di rendere una migliore assistenza allo stesso (Cass. civ. n. 23434/2020).
Diversamente, è stato considerato legittimo il licenziamento, per abuso dei permessi, in queste ipotesi:
– svolgimento di attività diverse da quelle di assistenza non garantendo al familiare con disabilità un intervento assistenziale permanente e continuativo; in questo caso si è ritenuto che il tempo dedicato all’assistenza non debba essere rapportato all’intera giornata ma piuttosto all’orario lavorativo, restando irrilevanti le ore serali e notturne (Cass. civ. n. 11999/2024);
– partecipazione a serate danzanti invece di assistere la madre disabile (Cass. civ. n. 8784/2015);
– svolgimento di altra attività lavorativa (Cass. civ. n. 29613/2017; Cass. civ. n. 9217/2016);
– frequenza a corsi universitari durante il tempo dei permessi (Cass. civ. n. 17968/2016);
– assistenza presso l’abitazione del genitore solo per mezz’ora al giorno (Cass. civ. n. 13274/2024).
Affinché si configuri un utilizzo illecito dei permessi non è necessario un comportamento reiterato del lavoratore, ma è sufficiente anche un solo episodio per giustificare il licenziamento (Cass. n. 17102/2021).
Per quanto concerne gli oneri probatori, in via generale si ritiene che:
– la prova dell’abuso dei permessi grava sul datore di lavoro che deve dimostrare in modo inequivocabile, eventualmente anche con l’ausilio di un’agenzia investigativa (Cass. civ. n. 6468/2024; Cass. civ. n. 4984/2014), che il lavoratore ha svolto attività incompatibili con l’assistenza al familiare (Cass. civ. n. 12032/2020);
– grava sul lavoratore la prova di aver eseguito la prestazione di assistenza in un luogo diverso da quello di residenza della persona protetta (Cass. civ. n. 30462/2023).
Come si è detto, non esiste una norma che stabilisca quali siano le modalità di fruizione dei permessi o che disciplini il potere di controllo da parte del datore di lavoro o, ancora, che preveda se e con quale preavviso il lavoratore debba richiedere i permessi.
Su quest’ultimo punto è intervenuto il Ministero del Lavoro (Interpello n. 31/2010 del 6/7/2010) per il quale: “Si ritiene possibile, da parte del datore di lavoro, richiedere una programmazione dei permessi, verosimilmente a cadenza settimanale o mensile, laddove: – il lavoratore che assiste il disabile sia in grado di individuare preventivamente le giornate di assenza; – purché tale programmazione non comprometta il diritto del disabile ad una effettiva assistenza; […] la predeterminazione di tali criteri dovrebbe altresì garantire il mantenimento della capacità produttiva dell’impresa e senza comprometterne, come detto, il buon andamento [… ] fermo restando che improcrastinabili esigenze di assistenza e quindi di tutela del disabile, non possono che prevalere sulle esigenze imprenditoriali”.
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