Sono tante le categorie del pubblico impiego deluse, anzi profondamente deluse, dalla legge di bilancio appena presentata in parlamento dall’esecutivo. Infermieri, medici, insegnanti e personale vario della scuola hanno ragione da vendere nella loro protesta contro l’ennesimo blocco del turnover, che, nel caso della scuola si è spinto addirittura a prospettare un taglio della pianta organica. Eppure, alla categoria, all’intera categoria del pubblico impiego, mi permetto di consigliare una lettura integrale del provvedimento, perché tra le tante ombre presenti in questa manovra economica, c’è pure qualche luce da non sottovalutare, soprattutto in un periodo, come quello attuale, in cui il confronto per il rinnovo contrattuale è entrato nella sua fase cruciale.
Nel testo, all’articolo 19 (Rifinanziamento del fondo per la contrattazione collettiva nazionale per il personale pubblico), in linea con la filosofia della programmazione pluriennale derivante dalle nuove regole di stabilità europee, sono previsti i fondi per coprire il rinnovo non solo del prossimo, ma anche del contratto successivo. Dopo anni e anni di blocco della contrattazione, la categoria si trova, dunque, davanti all’occasione storica di chiudere la trattativa in corso sul ccnl 2022-2024 entro l’ultimo anno di vigenza, avendo davanti risorse garantite anche per i due prossimi trienni. Non è mai accaduto prima. È uno scenario nuovo che ci permette di pensare a soluzioni inedite. Ripeto da tempo che il pubblico impiego ha bisogno di una riforma radicale, che i tavoli sindacali non si possono limitare a mettere pezze a colori su un abito ormai troppo sbrindellato. Ora abbiamo le condizioni perché si possano chiudere nei tempi corretti e fuor da logiche di emergenza, non uno ma ben tre contratti. Non facciamocela scappare.
Certo i numeri ci dicono che non c’è da scialare, ma la situazione generale è quella che è, tra guerre, instabilità e crisi di ogni tipo. Le statistiche internazionali dicono che addirittura Francia e Germania se la passano peggio di noi. È dura per tutti, figuriamoci per un paese che ha un debito come il nostro. Eppure, le cifre messe nero su bianco dalla legge di bilancio per il lavoro pubblico non sono da disprezzare. Se chiudessimo nelle prossime settimane il confronto in corso metteremmo in sicurezza gli oltre 5 miliardi destinati al comparto con la precedente finanziaria e secondo il testo della nuova manovra potremmo contare per il futuro in altri incrementi di circa 6 miliardi di euro per il 2025-2027 e in altrettanti per il triennio successivo 2028-2030, cifre che si raddoppiano considerando gli analoghi e automatici aumenti per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale.
Letteralmente, nell’art. 19 della legge di bilancio è scritto che: «Per il triennio 2025-2027 gli oneri posti a carico del bilancio statale per la contrattazione collettiva nazionale e per i miglioramenti economici del personale statale in regime di diritto pubblico sono complessivamente determinati in 1.755 milioni di euro per l’anno 2025, 3.550 milioni di euro per l’anno 2026 e 5.550 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2027». Ma per capire meglio come si è arrivati a queste cifre è più utile scorrere la relazione tecnica che accompagna il provvedimento, la quale spiega che per i calcoli si è partiti da una base di 1,9 milioni di unità di personale, come risultanti dal Conto Annuale 2021, e della retribuzione media annua pari a 37.880 euro ottenuta rivalutando il dato del Conto Annuale 2021 per tenere conto dei benefici connessi ai trienni contrattuali 2019-2021 e 2022-2024.
Il risultato di questi calcoli porta alle cifre summenzionate che in termini percentuali si concretizzano in incrementi retributivi dell’1,8% per l’anno 2025, del 3,6% per l’anno 2026 e un incremento complessivo del 5,4% a regime a decorrere dall’anno 2027 comprensivo dell’indennità di vacanza contrattuale e degli analoghi trattamenti previsti dai provvedimenti negoziali relativi al personale contrattualizzato in regime di diritto pubblico. Stesso ragionamento per le proiezioni sul triennio successivo. Spiega ancora la relazione tecnica che le risorse sono quantificate, secondo criteri analoghi a quelli utilizzati per gli stanziamenti precedenti, sulla base del deflatore consumi, pari a 1,9% per il 2028 e a 2,0% per il 2029 e 2030. Il che ci porta a prevedere incrementi di 1.954 milioni di euro per l’anno 2028, 4.027 milioni di euro per l’anno 2029 e 6.112 milioni di euro annui a decorre dal 2030, al lordo degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Tutte cifre a cui, come ho già detto, vanno poi aggiunte quelle analoghe per le amministrazioni non statali e per i lavoratori della Sanità.
È poco? È tanto? Non è una risposta che si può dare in termini assoluti, astratti. Per rispondere dobbiamo, infatti, valutare anche il clima generale di tensione e preoccupazione che ci circonda, lo stato dell’economia nazionale ed internazionale e la storia passata di lunghissime vacanze contrattuali. Se teniamo conto di tutto ciò, sono sicuro che tutti possiamo concordare che non si tratti di una prospettiva da disprezzare. Ma per una volta, fatemi andare oltre la semplice valutazione del dato economico (che ribadisco, non è disprezzabile).
La vera novità, non mi stancherò di rimarcarlo, è che ci si prospettano sei anni di contrattazione garantita da cifre già messe a bilancio. Non ci era mai capitato. Accettiamo la sfida e pensiamo in grande, immaginiamoci la Pubblica Amministrazione che vogliamo e cominciamo a confrontarci con la controparte sui progetti che abbiamo in mente. È il momento di osare.
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