Banca Progetto, la banca digitale milanese nota per la cessione del quinto e il supporto alle PMI, è finita sotto amministrazione giudiziaria. Dieci milioni di euro sono stati concessi a società legate alla ‘ndrangheta, con garanzie statali previste dal Fondo Centrale di Garanzia, un sostegno destinato all’economia in crisi durante la pandemia e il conflitto russo-ucraino. Ma quei soldi invece di risollevare il tessuto economico, sono finiti direttamente nelle mani della criminalità organizzata. L’accusa è chiara: elusi i protocolli antiriciclaggio, favorendo imprenditori legati a clan mafiosi e traferendo il rischio d’insolvenza sullo Stato.
Prestiti milionari ai clan: la rete criminale tra banche e Stato
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, hanno portato a galla un sistema marcio e opaco, dove le verifiche sui clienti sono state del tutto trascurate. Nonostante gli ispettori di Banca d’Italia avessero rilevato già tra il 2021 e il 2022 “gravi criticità”, l’istituto ha continuato a concedere prestiti a società che, secondo l’inchiesta, erano pienamente inserite in dinamiche mafiose. Le società, riconducibili a soggetti legati ai clan, hanno ricevuto tra il 2019 e il 2023 finanziamenti per oltre 10 milioni di euro. Il clan, attivo nella provincia di Varese, è noto per reati fallimentari, tributari e trasferimenti fraudolenti di valori, tutti con l’aggravante del metodo mafioso.
I magistrati della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano non hanno usato mezzi termini: l’operato di Banca Progetto è stato “agevolatorio” verso il sodalizio criminale, contribuendo all’arricchimento della ‘ndrangheta con fondi pubblici. Un modus operandi “opaco e discutibile”, che ha ignorato i principi basilari della normativa antiriciclaggio e ha alimentato l’economia mafiosa, come evidenzia il decreto firmato dai giudici Pendino, Cucciniello e Profeta. La banca ha così trascurato qualsiasi forma di prevenzione, anche di fronte alle sollecitazioni della Banca d’Italia e dell’Unità di Informazione Finanziaria (UIF).
Uno dei casi più eclatanti riguarda un prestito da 3,5 milioni di euro, erogato il 10 febbraio 2023, mesi dopo i richiami di Banca d’Italia. L’indagine ha rivelato che Banca Progetto ha continuato a concedere crediti a società riconducibili a soggetti legati ai clan anche dopo l’arresto di uno di essi nel marzo dello stesso anno. “Sarebbe bastata una semplice verifica del mio nome” ha dichiarato il titolare durante un’udienza. Ma la banca ha ignorato anche questo, erogando prestiti a società legate all’imprenditore attraverso intermediari che, formalmente, non avevano nulla a che fare con lui.
Non si tratta di errori isolati o di singole disattenzioni. La documentazione raccolta dalla Guardia di Finanza di Milano ha dimostrato che il sistema era sistematico e continuativo. Banca Progetto ha deliberatamente ignorato i controlli necessari, trattando con faciloneria pratiche di finanziamento che avrebbero dovuto far scattare immediatamente campanelli d’allarme. Invece, come sottolineano i giudici, l’istituto ha messo in atto una politica aziendale orientata esclusivamente alla massimizzazione del profitto, lasciando che la criminalità organizzata accedesse a fondi statali senza alcun freno.
L’amministrazione giudiziaria, decisa dal Tribunale, affiancherà per un anno il management interno della banca. L’obiettivo è verificare le procedure e creare modelli organizzativi in grado di prevenire situazioni simili in futuro. Ma la vera domanda rimane: in un sistema economico sempre più digitalizzato, come può una banca che dovrebbe garantire sicurezza e trasparenza diventare così vulnerabile alla criminalità organizzata?
Controlli ignorati e procedure eluse: l’indagine della DDA
L’indagine ha portato alla luce la permeabilità di un settore che, sulla carta, dovrebbe essere blindato. La normativa antiriciclaggio è chiara e stringente ma la sua applicazione, come dimostra il caso di Banca Progetto, non sempre lo è. La ‘ndrangheta è riuscita a infiltrarsi in circuiti finanziari protetti da garanzie statali, e lo ha fatto con la complicità di chi avrebbe dovuto vigilare e controllare. L’assist ai clan è stato netto e il denaro, come affermano i giudici, è stato “cannibalizzato” dalla criminalità, con la beffa che quei soldi provenivano direttamente dalle casse dello Stato.
È così che la mafia continua a banchettare, in silenzio, mentre il dibattito pubblico sembra aver dimenticato la sua esistenza. Si preferisce parlare di altro, si preferisce non usare la parola “mafia”, come se non nominarla potesse cancellarla. Ma intanto loro, i clan, si infilano nei varchi lasciati aperti, si appropriano dei fondi destinati alle imprese in difficoltà e trasformano le banche in strumenti di riciclaggio.
Banca Progetto non è il primo caso e, purtroppo, difficilmente sarà l’ultimo. E mentre i palcoscenici politici si concentrano su temi più immediati, la mafia resta lì, nascosta, ma ben presente. E soprattutto, banchetta.
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