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Tra moglie e marito non mettere il…recesso: la Corte d’Appello di Firenze interpreta l’offerta “fuori sede”. #finsubito prestito immediato


Nel caso di specie, secondo le stesse allegazioni di parte appellante, la sottoscrizione dell’ordine di acquisto era asseritamente avvenuta attraverso queste modalità:

a) il marito (cointestatario del deposito titoli) ebbe un colloquio con la funzionaria presso la sede della banca e, in quel contesto, fu predisposto l’ordine di acquisto;

b) il marito rientrò, quindi, presso l’abitazione e fu lui stesso a sottoporre alla moglie l’ordine d’acquisto, premurandosi, dopo la firma, di riconsegnarlo alla funzionaria, presso la sede della banca.

A fronte di questa fattispecie di offerta fuori sede “familiare”, la Corte fiorentina ha ritenuto non possa dirsi ricorrente l’ipotesi di “offerta fuori sede”, quale definita dal primo comma dell’art. 30 TUF, ovverosia di “promozione e il collocamento presso il pubblico” “di servizi di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio”. Invero, secondo il giudice toscano, il presupposto per l’operare di tale disciplina protettiva è che il promotore agisca fuori sede, con il possibile “effetto sorpresa”, correlato alla sollecitazione presso il domicilio, che giustifica l’attribuzione del diritto di recesso. Non associabile, nel caso di specie, all’apparizione (per quanto improvvisa) del proprio marito, longa manus della funzionaria di Banca, indottrinato (presumibilmente) sull’ordine di investimento da sottoscrivere. Il marito non può, in altri termini, ingenerare alcun “effetto sorpresa” nell’animo della propria moglie.

Nella fattispecie è pacifico che il funzionario non si sia mosso dalla sede della Banca; sì come presso la sede della Banca è avvenuto il colloquio con il marito dell’appellante e, da ultimo, la firma è stata materialmente raccolta dallo stesso marito, essendo stata apposta nell’intimità del focolare domestico. Siamo, quindi, per il Collegio gigliato, al di fuori del campo di applicazione della disciplina regolamentare settoriale[1], mutuando un orientamento (piuttosto isolato e riferibile a una fattispecie abbastanza peculiare) della giurisprudenza di legittimità, peraltro superato da successiva ordinanza, per cui «In tema di intermediazione finanziaria, per escludere l’applicabilità della disciplina relativa all’offerta fuori sede di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 58 del 1998 (cd. TUF), nella vigenza del Reg. Consob n. 16190 del 2007, non è sufficiente che la promozione e il collocamento di strumenti finanziari si attuino in luogo di pertinenza del promotore finanziario, ma è necessario che tali attività si perfezionino presso la sede legale dell’intermediario autorizzato, ovvero presso una dipendenza dello stesso, per tale dovendosi intendere l’unità locale costituita da una stabile organizzazione di mezzi e di persone, aperta al pubblico, dotata di autonomia tecnica e decisionale, che presta in via continuativa servizi e attività di investimento»[2].

La conclusione è necessitata: è da escludersi la sussistenza della dedotta nullità per omessa indicazione della facoltà di recesso, ex art. 30, comma 7, TUB.

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Pur tuttavia, «Situation Normal, All Fouled Up», o, sciacquando i panni in Arno (touché), l’operazione (in questo caso, di investimento) è riuscita, ma il paziente (rectius, la norma) è morto. La lettura proposta dell’art. 30 TUF può paradossalmente risolversi, nella sostanza, in una sua strumentale elusione: il consulente o il funzionario, che raggiunga per interposta persona, il proprio cliente, presso il domicilio di quest’ultimo, non porrebbe mai in essere un’offerta fuori sede, con una grave compromissione della tutela rafforzata normativamente prevista.

Come già incidentalmente evidenziato, il precedente di legittimità richiamato nella sentenza annotata afferisce a circostanze fattuali alquanto peculiari, riferendosi alla sottoscrizione di un piano finanziario composto da tre diverse operazioni; segnatamente: a) la concessione di un finanziamento; b) l’investimento della somma concessa nell’acquisto di titoli obbligazionari e nelle quote di un fondo di investimento; c) la costituzione in pegno dei titoli e delle quote, in favore della banca, a garanzia della restituzione del finanziamento. Ebbene, ciò premesso, nel caso de quo, risultava circostanza accertata (e incontestata) nella sentenza impugnata quella per cui la sola sottoscrizione del contratto di investimento fosse avvenuta nell’abitazione della ricorrente, giacché la relativa modulistica era stata consegnata dal fratello di quest’ultima. In buona sostanza, il verificarsi del presupposto “effetto sorpresa” era ragionevolmente escluso dall’essersi già esaurita la prima fase, della complessiva operazione, presso la sede dell’intermediario. Come, d’altronde, specificamente statuito, di recente, dalla Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 16097/2024, per cui «esigenza che può in concreto dirsi non sussistente ove l’investimento rientri in una più complessa operazione economica, che consenta di ritenere escluso quell’effetto “sorpresa” costituente la ragion d’essere del diritto di recesso a favore dell’investitore».

Circostanza certamente non replicata nelle vicende fattuali attenzionate dalla Corte fiorentina, laddove, per converso, non vi è mai stata l’instaurazione di alcuna relazionalità, in sede, tra l’appellante e la Banca appellata, risolvendosi il tutto nella sottoscrizione dell’operazione di investimento contestata. Non pare esserci, dunque, margine, per una applicazione analogica del principio richiamato dai giudici fiorentini.

In ogni caso, la motivazione proposta dal Collegio toscano sembra supporre possa esserci un trasferimento integrale e, soprattutto, corretto dell’informazione relativa all’ordine di investimento, dal marito, asseritamente reso edotto dalla funzionaria, alla moglie, rimasta a casa. In altri termini, la «scelta negoziale non sufficientemente meditata» che l’art. 30 TUF si prefigge di escludere, viene, per converso, affidata alle cure (per quanto amorevoli) del coniuge, che deve prima comprendere e, poi, condividere le spiegazioni ricevute.     

 

 

 

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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 31.08.2020, n. 18155.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 27.10.2020, n. 23569.



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